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Baggio tra Vicenza, Bologna e Brescia: fuoriclasse anche in provincia

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Roberto Baggio è universalmente considerato uno dei calciatori più forti di ogni tempo. A consegnargli di diritto un posto alla tavola dei più grandi sempre, sono state quelle doti innate che gli hanno consentito di fare in campo cose talmente meravigliose da restare scolpite nella memoria di ogni appassionato.

Aveva classe ed era elegante, disegnava traiettorie che la maggior parte dei sui colleghi nemmeno riusciva ad immaginare, era un personaggio così grande e popolare da diventare il simbolo stesso di un’intera generazione di giocatori, ma era anche così schivo e riservato da preferire la tranquillità di casa al calore emesso dalle luci della ribalta. Era amatissimo, ma divideva, parlava quasi esclusivamente con i piedi, ma quelle poche volte che lo faceva con la bocca lasciava il segno e questo perché, come da lui stesso più volte ammesso, non era e non è capace di mentire.

Il Baggio giocatore è stato tutto nel senso più stretto del termine e la cosa è dimostrata da una carriera costellata di tanti saliscendi, oltre che di vere e proprie curve a gomito che l’hanno portato ad essere protagonista assoluto tanto sui palcoscenici più importanti del pianeta, quanto in provincia.

A rendere Baggio un fuoriclasse diverso da quei colleghi che come lui sono stati dotati di ‘magia’ è stato anche questo: non si è limitato a vestire le maglie dei club più gloriosi e non si è mai evidentemente sentito in diritto di ambire solo ai trofei più importanti. Lui amava il calcio, quello fatto ad un certo modo, e se non era possibile farlo lì dove tutti ambivano andare, allora lo portava lì dove raramente si era visto.

Nel corso della sua carriera ha vestito anche alcune tra le maglie più prestigiose in assoluto, ma tra le tappe fondamentali del suo lungo cammino da calciatore ci sono state anche Vicenza, Bologna e Brescia. Tre tappe toccate in momenti differenti e se la prima, quella tinta di biancorosso, ha per lui rappresentato la porta di accesso al calcio che conta, le altre due gli hanno consentito di dimostrare che era ancora il più forte. Il più forte nonostante i gravi infortuni che sempre lo hanno condizionato, il più forte nonostante per molti avesse già dato il meglio di quello che aveva.

Che Roberto Baggio fosse dotato di qualità fuori dal comune lo si è capito fin da quando era bambino. A Caldogno, il suo paese, se ne sono accorti subito e quando il Vicenza per la prima volta ha bussato alla porta della società nella quale ‘Roby’ giocava, la notizia non è nemmeno arrivata a casa. Quel ragazzino che faceva vincere le partite da solo era troppo prezioso per farlo andare via, ma era evidentemente anche troppo forte perché la voce delle sue gesta non iniziasse a circolare prepotentemente in provincia.

Il Vicenza decide così di rivolgersi direttamente alla famiglia. Baggio ha tredici anni e la richiesta che viene fatta ai suoi genitori è semplice: portatelo da noi per un provino e vediamo come va.

Roberto al provino viene portato e la pratica si risolverà in nel giro di un quarto d’ora. Tanto gli è bastato per fare due goal e per lasciare tutti a bocca aperta. Ciò che si diceva di lui rispondeva assolutamente a verità ed il Vicenza, pur di farlo subito suo, decide di versare 500 mila lire per l’acquisizione del suo cartellino. Poco più di 250 euro attuali, certamente i soldi meglio spesi nell’intera storia del club.

Baggio viene quindi aggregato alle giovanili, ma spesso si allena anche con i grandi. I giocatori della prima squadra sanno che in quella Berretti che grazie alle sue prodezze attira oltre mille spettatori a gara, c’è un ragazzo che è già più che pronto a giocare con loro, ma le regole parlano chiaro e prima di aver compiuto i sedici anni l’esordio tra i professionisti è vietato.

È per questo che colui che anni dopo verrà ribattezzato il ‘Divin Codino’ aspetterà il 18 febbraio del 1983, ovvero il giorno del suo compleanno, come se fosse Natale. Il suo debutto in C1 arriverà qualche mese più tardi in un Vicenza-Piacenza, ma sarà nella stagione 1984-1985 che verrà inserito in pianta stabile in prima squadra dal suo allenatore Bruno Giorgi.

Ricambia la fiducia segnando dodici goal in ventinove partite di campionato che si riveleranno fondamentali per la promozione in Serie B, ma in una delle ultime partite del torneo si ritroverà costretto a fare i conti con il primo infortunio di quella che poi purtroppo si rivelerà essere una lunga serie.

È il 5 maggio 1985 e si gioca contro il Rimini di quell’Arrigo Sacchi che poi sarà anni dopo suo commissario tecnico in Nazionale e allenatore al Milan. Baggio, che due giorni prima ha firmato il contratto che lo legherà alla Fiorentina, nel tentativo di recuperare un pallone in scivolata riporta la lesione del menisco e del crociato anteriore.

Ai giorni di oggi è un infortunio grave, ma nel 1985 è di quelli che possono spezzare una carriera.

Il pomeriggio nel quale il Vicenza ed i suoi tifosi festeggeranno la promozione, Baggio farà il giro di campo portato a spalla. Il lungo cammino che lo riporterà in campo è appena iniziato.

Perché la sua gamba destra torni quella di prima sono necessari un intervento delicato, 220 punti di sutura ed un lungo percorso riabilitativo. La Fiorentina, che ha sborsato oltre 2,7 miliari di lire per anticipare una folta concorrenza, ha la possibilità di recedere il contratto, ma decide di aspettare il suo gioiello.

Quando finalmente il calvario sembra alle spalle Baggio, il 21 settembre 1986, può esordire in Serie A, ma tempo una settimana e si lesiona di nuovo il menisco destro. Serviranno altri mesi per rivederlo in campo. Di fatto quel primo infortunio gli costerà due anni di calcio.

Nel frattempo a Firenze si riscopre amato come forse mai gli era accaduto prima. La città lo aspetta non facendogli avvertire la pressione del tempo che passa e sarà anche per questo che, quando nell’estate del 1990, quando è ormai già considerato da tutti il più forte giocatore italiano, si opporrà al trasferimento alla Juventus.

L’approdo in bianconero rappresenterebbe il passo naturale verso traguardi più importanti, il classico ‘salto di carriera’ ma Baggio, che ha sempre messo certi valori avanti al pallone, vivrà quella cessione come un vero e proprio tradimento.

“Si chiama riconoscenza e l’ho provata per una città che mi ha aspettato per due anni, anzi tre - ha spiegato a Il Venerdì di Repubblica - Quando ero rotto, con le ginocchia sfasciate, la città mi ha coccolato e rispettato. Non solo. Una volta torno alle tre di notte da Cesena dove avevo segnato due gol con la Nazionale, e il viale che porta da me è pieno di gente che vuole festeggiarmi. Come fai a dimenticarti una cosa così? Io non volevo lasciare la Fiorentina”.

Con la maglia della Juventus addosso Baggio si consacrerà. Vincerà uno Scudetto, una Coppa UEFA, una Coppa Italia ed un Pallone d’Oro. Diventerà uno dei campioni più famosi a livello planetario, un’icona del calcio italiano e non solo.

È un idolo per milioni di appassionati che gli perdonano, come forse non avrebbero fatto con altri, anche lo storico rigore sbagliato a Pasadena. E c’è un’altra cosa che contribuisce a renderlo ancora più amato: quella sensazione che possa non esserci più spazio per lui in un calcio che si sta cambiando.

Baggio Italia 10Getty

Baggio segna come una punta, ma non è una punta. È un fantasista, ma in un’epoca nella quale un calcio più fisico e meno tecnico sembra sempre più escludere questa figura. Michel Platini lo definirà un ‘nove e mezzo’, un giocatore quindi di non facile collocazione, e la cosa è paradossale visto che si sta parlando del più forte di tutti.

È anche per questo motivo che poi, una volta approdato al Milan, non riuscirà ad esprimersi al meglio. Arriva all’ombra del Duomo anche perché voluto da Capello, il quale oltre a concedergli spazio, gli riserva anche tante sostituzioni che spesso Baggio non prende nel modo giusto. L’iniziale diplomazia lascia il posto ad un’insoddisfazione sempre meno celata e la cosa contribuirà a far accrescere la fama di campione che mal sopporta le decisioni dei suo allenatori.

“Non ho mai capito il motivo dei miei problemi con loro. Forse erano gelosi dell’amore che la gente provava per me. Mi volevano bene anche i tifosi avversari e forse, in un’epoca nella quale gli allenatori erano sempre più protagonisti, quasi più dei campioni, rubavo loro la scena”.

Quando nel 1997, a due anni dall’inizio della sua avventura in rossonero, capirà di non rientrare più nei piani del Milan, Baggio deciderà di ripartire dalla provincia per dimostrare di essere ancora il fuoriclasse di sempre e per guadagnarsi un posto tra i convocati per i Mondiali del 1998.

Ad accoglierlo sarà il Bologna, ma in realtà la sua destinazione iniziale doveva essere un’altra: il Parma.

Il club ducale trova un accordo con il Milan e chiude un’operazione clamorosa, ma c’è un problema: può una squadra nella quale non c’era posto per Zola accogliere un giocatore dalle stesse caratteristiche di Zola? Evidentemente no e infatti Carlo Ancelotti, che non ha intenzione di ridisegnare una squadra che lui immagina solo con il 4-4-2 e con Crespo e Chiesa in attacco, si mette di traverso facendo saltare la trattativa.

“È vero, sono stato io a non volerlo - rivelerà anni dopo ai microfoni di Sky - Me ne pento, ma ero inesperto. Sacrificai la qualità per il sistema, ma oggi il mio modo di pensare è cambiato. Oggi adatto il sistema ai giocatori, perché sono loro la cosa più importante e non l’allenatore o il gioco”.

Baggio ha estimatori in tutto il mondo pronti a coprirlo d’oro, ma non vuole lasciare l’Italia perché teme di uscire dai radar azzurri. Molti altri fuoriclasse del suo calibro non lo avrebbero probabilmente fatto, ma lui decide di ripartire dal Bologna.

Roberto Baggio BolognaGetty Images

A volerlo fortemente è il presidente Giuseppe Gazzoni Frascara, che si dimostra più che pronto ad un sacrificio importante pur di regalare alla città intera ciò che ha tutti i connotati di un sogno. Meno entusiasta è invece il tecnico Renzo Ulivieri che per la sua squadra aveva altre idee.

“Il Bologna è la soluzione migliore per me nell’anno che porta ai Mondiali. È una scelta che mi dà gioia, la migliore che potessi fare. Evidentemente non era destino che andassi al Parma, mentre a Bologna ho trovato persone che hanno fiducia in me. Se ho avuto il coraggio di decidere per questo tipo di trasferimento è stato soprattutto per smentire chi dice che sono finito”.

Per il Bologna accogliere Baggio vuol dire tornare agli onori della cronaca come non accadeva da tempo. Il club rossoblù si riscopre sulle prime pagine di tutti i giornali e l’euforia in città si traduce nella cifra record di ben 27 mila abbonamenti staccati.

Quello che si presenta all’ombra delle Due Torri è un Roberto Baggio tirato a lucido e ‘orfano’ del suo iconico codino. Ulivieri riesce a trovargli una collocazione tattica sistemandolo o da seconda punta o alle spalle di Andersson e Kolyvanov. La squadra non parte bene in campionato, ma il nuovo 10 rossoblù dimostra fin da subito di voler fare la differenza. Segna tre goal nelle prime due giornate, poi ritroverà la rete nel settimo turno realizzando una tripletta contro il Napoli che varrà la prima vittoria stagionale.

Gioca, si diverte e diverte, sforna assist e veste i panni di leader tecnico della compagine felsinea. Tutto sembra andare per il meglio, ma nel gennaio 1998 tutto rischia di franare.

Al Renato Dall’Ara arriva la Juventus e alla vigilia della gara, subito dopo l’ultimo allenamento, Ulivieri gli comunica che il giorno dopo si sarebbe accomodato in panchina. La scelta è puramente tattica, il tecnico decide infatti di rinunciare ad un attaccante per schierare Fontolan al fianco di Andersson. Nelle sue idee Baggio potrebbe tornare utile nella ripresa quando i ritmi sarebbero calati, ma il giocatore, che ci tiene a vivere una giornata da grande protagonista contro il suo passato, non prende bene la cosa e lascia il ritiro di Casteldebole per tornare nella sua Caldogno.

Sono ore di grande tensione e le tv iniziano a parlare di ‘caso Baggio’. In molti vedono in quello che è stato un vero e proprio ammutinamento una sorta di punto di non ritorno e la situazione sembra precipitare ulteriormente quando il dieci rossoblù, raggiunto telefonicamente da 'La Gazzetta dello Sport', commenta la cosa con parole che sembrano macigni.

“Sono schifato, è da più di un anno che sono sotto tiro. A questo punto penso seriamente che sia meglio cambiare aria”.

Bologna si divide: c’è chi si schiera dalla parte di colui che è già diventato un idolo assoluto della tifoseria e chi ritiene che l’allenatore debba essere libero di scegliere come crede.

Si prendono in esame tutte le ipotesi, anche quella di chiudere in anticipo il rapporto e lo stesso Ulivieri di fatto rimette il mandato in mano alla società. Alla fine si riuscirà a ricucire lo strappo, anche se in molti parleranno di una sorta di ‘pace armata’.

Il Bologna intanto fatica a ripartire, tanto che si inizierà a pensare anche ad un rischio retrocessione, ma da inizio marzo in poi la squadra inanellerà una serie di risultati positivi che la spingeranno fino all’ottavo posto che varrà una qualificazione all’Intertoto. Baggio segnerà otto goal nelle ultime cinque partite di campionato che porteranno il suo bottino complessivo a ventidue. Mai aveva segnato tanto in un unico torneo.

La sua stagione sarà così positiva da valere non solo la convocazione per i Campionati del Mondo, ma anche la chiamata di un grande club: l’Inter.

La scommessa Bologna è stata vinta sotto tutti i punti di vista e a trent’anni Baggio si confermerà ancora uomo capace di fare la differenza come pochi e a qualsiasi latitudine.

Come già accaduto al Milan però, a Milano non troverà terreno fertile per emergere e se la sua prima annata in nerazzurro sarà condizionata da un lungo periodo di crisi che travolgerà l’intera squadra, nella seconda per lui le cose si complicheranno con l’arrivo in panchina di Marcello Lippi.

I due si erano già incrociati alla Juventus e le cose non erano andate benissimo. Lo spazio a disposizione si assottiglia visto che il reparto offensivo è di quelli molto folti e anche quando si verifica qualche defezione in più, il tecnico viareggino spesso preferisce puntare su Mutu e Recoba. Baggio, nel finale di stagione, risulterà comunque decisivo ai fini della qualificazione alla Champions League, tra l’altro grazie anche ad una splendida doppietta nello spareggio per il quarto posto con il Parma, ma ormai sarà chiaro per tutti che la sua seconda avventura meneghina è già giunta al capolinea.

Roberto Baggio BresciaGetty

La parentesi interista lascia dei segni, tanto che nel 2000 Baggio si riscopre a vivere la sua prima estate da ‘disoccupato di lusso’. Nessuna grande squadra si fa avanti per accoglierlo, ma c’è un allenatore che più di chiunque altro avrebbe la voglia di lavorare con lui: Carletto Mazzone.

Ha letto che la Reggina è pronta a tentare il grande colpo e allora inizia a domandarsi perché il suo Brescia non possa fare lo stesso. Chiama Baggio, chiede la sua disponibilità a ripartire dalle Rondinelle, incassa un ‘sì’ di massima, riattacca e telefona immediatamente al suo presidente: Gino Corioni.

Spera di poterlo convincere a fare un grande sforzo, quello che non può sapere è che in realtà in casa Corioni l’opera di persuasione è già partita da tempo. Ad avviarla è stata la moglie stessa del presidente, la signora Annamaria, dopo aver appreso dalla tv che Baggio è libero. Non comprende come sia possibile che un giocatore del suo calibro possa essere rimasto senza squadra e costretto ad allenarsi nel giardino di casa ed inoltre anche lei si chiede perché la Reggina possa provarci e il Brescia no.

Invogliare Gino Corioni a prendere Baggio si rivelerà un’impresa tutt’altro che impossibile, anzi, pare che per fare una sorpresa a tutti portò avanti la trattativa nel più assoluto riserbo. I grandi colpi, o meglio i colpi impossibili, gli erano sempre piaciuti e lo aveva già dimostrato anni prima quando portò a Brescia Gheorghe Hagi, il Maradona dei Carpazi, prelevandolo addirittura dal Real Madrid.

Quando tutto sarà fatto, Roberto Baggio firmerà il contratto che lo legherà alle Rondinelle in piena notte, nella cucina della signora Annamaria.

“Avevo molte offerte dall’estero, ma le ho rifiutate. Sono felice di continuare a giocare in Serie A e di poterlo fare vicino a casa. A me piace giocare in provincia, dove forse il calcio è più autentico. Uno dei motivi che mi ha spinto ad accettare il Brescia è la presenza di Carlo Mazzone”.

Siamo nel settembre del 2000 e il Brescia si ritrova a vivere i momenti più vibranti della sua storia, il tutto mentre Lillo Foti, il presidente della Reggina, vede svanire il sogno di piazzare un colpo storico.

“La società che presiedo ringrazia il signor Baggio per l'attenzione prestata alle offerte da noi provenienti. Siamo certi che la scelta del calciatore è dettata da un'oggettiva maggiore vicinanza di Brescia a Caldogno, rispetto a Reggio Calabria. Auguro al signor Baggio le migliori fortune”.

Roberto Baggio a Brescia vivrà quattro stagioni che saranno un condensato di tutto. Magie in campo, goal, infortuni e recuperi miracolosi, ma anche le delusioni legate alle mancate convocazioni per i Mondiali del 2002 e gli Europei del 2004 che pure per l’opinione pubblica avrebbe meritato.

Ha desiderato far parte della spedizione azzurra che ha preso parte ai Campionati del Mondo di Giappone e Corea più di ogni altra cosa e l’ha dimostrato rientrando in campo ad appena ottantuno giorni dalla rottura di un crociato con lesione del menisco, e chiudendo quella stagione con undici goal segnati in dodici partite. Solo un fenomeno poteva fare altrettanto.

È stato l’uomo simbolo del Brescia più bello di sempre, quello che si è spinto fino al settimo posto in Serie A, ed ha condiviso l’esperienza con le Rondinelle con giocatori del calibro di Pirlo, Toni, Guardiola e Di Biagio, solo per citarne alcuni.

Quando il 16 maggio 2004, al minuto 84 di una sfida con il Milan, lascerà per l’ultima volta il campo da giocatore, lo farà con la maglia del Brescia addosso e tutto San Siro si alzerà in piedi per riservargli il più caloroso dei saluti, ma anche un enorme ringraziamento. Da quel giorno in poi, nessun giocatore delle Rondinelle porterà più il 10 sulle spalle.

Roberto Baggio ha chiuso la sua carriera in provincia, proprio dove l’aveva iniziata, e forse è stato giusto così. Lui che è stato uno dei calciatori più amati in assoluto, ha regalato anche quei tifosi che di solito i campioni li ammirano solo da avversari, la gioia di vedere un fuoriclasse indossare la maglia della propria squadra del cuore.

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