Bruno Conti, da promessa del baseball a simbolo della Roma e Campione del Mondo con l'Italia

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È stato uno dei grandi campioni del calcio italiano del Secondo dopoguerra, fra le 5 ali destre più forti degli ultimi 50 anni assieme ad Angelo Domenghini, Claudio Sala, Franco Causio e Roberto Donadoni. Una leggenda della Roma, con cui ha vinto uno Scudetto e 5 Coppe Italia, oltre a 2 Scudetti e una Coppa Italia Primavera, e ha giocato per ben 16 stagioni, di cui 12 consecutive, e un mito della Nazionale azzurra, con la quale si è laureato nel 1982 Campione del Mondo in Spagna.

Bruno Conti, un metro e 69 centimetri per 65 chilogrammi, era veloce, imprevedibile e fantasioso, anche grazie al suo fisico minuto che inizialmente era stato per lui un problema, e con il suo mancino magico era in grado di 'far cantare' il pallone, saltando gli avversari in dribbling, servendo assist per i compagni o andando personalmente al tiro con conclusioni potenti e precise.

Dal 2012 è stato inserito nella Hall of Fame della Roma e nel 2017 in quella del calcio italiano. Eppure il calcio rischiò seriamente di perderlo: da giovane fu infatti scartato dalla Roma e dalla Juventus, e coltivò il suo grande talento nel baseball, sport che lo vide debuttare in Serie A e ad un passo da uno storico trasferimento nell'MLB americana.

Bruno Conti Roma Serie A 1979/80Wikipedia

BRUNO CONTI DA NETTUNO: DAL BASEBALL AL CALCIO

Bruno Conti nasce il 13 marzo 1955 a Nettuno, città dell'area metropolitana di Roma che è uniformemente considerata 'la città del baseball', sport che si è rapidamente radicato da quando vi è stato importato dagli Americani durante la Seconda guerra mondiale e che lui pratica fin da bambino. Oltre al baseball, però, il giovane Bruno si appassiona anche al calcio.

"Facevo il chierichetto in parrocchia, a Nettuno. - ha raccontato a 'gianlucadimarzio.com' nel 2015 - C’era, nell’oratorio, un campetto di terra battuta, circondato da mura di cemento. La palla non usciva mai, sbatteva e tornava in campo. Io passavo lì molto tempo a palleggiare, fare dribbling, tirare rigori e punizioni. Ma il mio cuore era diviso tra calcio e baseball. A Nettuno gli americani sbarcati per liberarci avevano portato non solo la libertà, il boogie woogie e le sigarette ma anche il baseball, loro sport nazionale. Per generazioni si è tramandata questa passione, venuta dal mare". 

Conti gioca inizialmente a baseball con la Black-Angels-S.Francesco, poi passa al plurititolato Nettuno Baseball Club e in poco tempo diventa un veloce e potente lanciatore mancino. Debutta nella Serie A di baseball nel 1969 e di lui si accorge a un certo punto la prestigiosa  Università di Santa Monica, in California, che quando ha 15 anni fa un'offerta alla società e alla famiglia del ragazzo, affinché possa formarsi, crescere e migliorare nella squadra universitaria. Il percorso formativo lo avrebbe portato quindi nel campionato più prestigioso per la disciplina, la Major League Baseball (MLB).

"Vennero i dirigenti di una squadra importante, il Santa Monica, - ha ricordato - e chiesero a mio padre se potevano ingaggiarmi. Mio padre prese la sua decisione, per lui ero troppo piccolo, non era il caso. E grazie a quel padre apprensivo o forse solo responsabile due anni dopo mi ha preso la Roma e sono arrivato fino a Madrid".

Arrivano così i provini per diverse società di calcio, ma ogni volta la risposta per Bruno è sempre la stessa: "Tecnicamente è bravino, ma non ha il fisico".

"Mio padre si alzava la mattina alle quattro e andava a lavorare, faceva il muratore. Eravamo sette figli. Dormivamo in una casa modesta ma non ci hanno mai fatto mancare nulla. Ricordo il calore rassicurante della stufetta di legno che riscaldava l’ambiente e tre dei miei fratelli che dormivano nello stesso letto. Mia madre mi urlava di smettere di giocare e di andare a lavorare, che servivano i soldi a casa. Feci vari provini con squadre come il Bologna e la Sambenedettese e anche la Roma". 

Arrivano bocciature in sequenza. Il primo provino con la Roma è del 1969, lo organizza Camillo Anastasi, braccio destro del presidente giallorosso Gaetano Anzalone.

"Helenio Herrera aveva scambiato il provino delle Tre Fontane per un concorso da corazziere. - dirà in seguito ironico - La stessa risposta si ripeteva, sempre.  Il fisico mi condannava, anche se mio padre mi faceva mangiare filetti di prima scelta.  Cosa potevo farci se non ero Rambo?".

Da Torino vengono nella capitale per vederlo Sentimenti IV e Luciano Moggi, ai tempi osservatore e talent scout della Juventus. Ma anche in questo caso non se ne farà nulla.

"Fu un periodo difficile. - rivelerà Conti - Tra il no di papà all’America e le porte sbattute dalle squadre blasonate, mi chiesi se stavo facendo la cosa giusta".

L'attesa svolta è però vicina e arriva nel 1973. Anzalone crede in quel talentuoso ragazzo e, nonostante il parere negativo di Herrera, gli offre una nuova opportunità. 

"Mio cugino aveva un bar a Lavinio e organizzava dei tornei di calcetto. - ricorda Bruno - Mi chiamò e io trovai Di Bartolomei, Giordano, Di Chiara. Andavano in ferie lì, erano già nelle giovanili delle loro squadre, fortissimi. Mi sembrava un sogno. Fatto sta che feci un nuovo provino, questa volta con Liedholm. E fui preso. Ero un giocatore della Roma. Per mio padre che aveva anche il cuore giallorosso, fu il momento più bello della vita".

FRA LA PRIMAVERA E LA PRIMA SQUADRA

Dopo un breve periodo con l'Anzio, a 18 anni Bruno Conti entra così nella Primavera della Roma, guidata da Antonio Trebiciani, e conquista due Scudetti e una Coppa Italia di categoria. Muove i primi passi con Manlio Scopigno, poi però è Liedholm che osserva progressi del ragazzo di Nettuno e lo lancia da titolare in Prima squadra il 10 febbraio 1974.

"Ricordo tutto. - dirà a 'gianlucadimarzio.com' - C’erano le targhe alterne e da Nettuno partì praticamente tutta la città in treno per venire all’Olimpico".

È la squadra di Prati, Rocca e Cordova. Allo Stadio Olimpico si gioca Roma-Torino e la debuttante ala, incoraggiata dalla panchina, si impegna a fondo, procurandosi un calcio di rigore. Domenghini fallisce la trasformazione e il risultato finale è di 0-0, ma l'emozione, per lui, timido e introverso, è tanta.

I PRESTITI AL GENOA E IL GRANDE RITORNO

Dopo una stagione con la Prima squadra in cui gioca altre 6 gare, Bruno è tuttavia mandato in prestito al Genoa, in Serie B, per scendere in campo con più regolarità e, come si usava all'epoca, "farsi le ossa". Benché suo padre non la prenda benissimo, l'esperienza di Genova è decisiva per l'esplosione definitiva.

"Dovevo giocare e una squadra di B era l’idea le per uno, come me, alle prime armi. Quando lo dissi a mio padre ascoltò e quando finii non disse una parola. Girò il ciclomotore e se ne andò. Vedo ancora la sua figura allontanarsi. Come se io avessi tradito la Roma. O la Roma lui".

La stagione 1975/76 è esaltante per i colori rossoblù. La squadra, guidata da Gigi Simoni, domina il campionato di Serie B e conquista la promozione in Serie A. Fra i protagonisti c'è anche Conti, che gioca titolare e colleziona 36 presenze e 3 goal in campionato e 6 in Coppa Italia.

"Due figure sono state fondamentali per la mia carriera in quel periodo. - rivelerà - La prima è stata Gigi Simoni, grande tecnico e grande galantuomo. Mi ha dato tanto e io non lo dimentico. La seconda Nils Liedholm.  Io ero innamorato del pallone, avrei dribblato pure i pali della porta. Lui mi ha corretto, mi ha rifatto nuovo, mi ha permesso di debuttare in A contro il Torino". 

A Genova Conti gioca per la prima volta in squadra con Roberto Pruzzo, il bomber di Crocefieschi, con cui condividerà anni dopo grandi successi con la Roma. In rossoblù l'ala di Nettuno resta soltanto una stagione, per poi far ritorno alla Roma. Il 1976/77 è così il suo primo anno da titolare nel massimo campionato. Conti gioca 29 gare e segna i suoi primi 2 goal in giallorosso e in Serie A. Il primo, indimenticabile, lo firma nel successo per 3-1 contro la Juventus il 30 gennaio 1977.

Nel 1977/78, tuttavia, sotto la gestione Giagnoni, le cose non vanno bene e Conti, limitato dagli infortuni, disputa appena 21 gare fra campionato e Coppa Italia, con altri 2 goal. A fine anno si materializza così per lui una nuova cessione.

Stavolta i liguri rischiano addirittura la retrocessione, è il 1979 e la carriera di Bruno è a un bivio.

"La Roma, a fine campionato, scelse Pruzzo e il Genoa in cambio chiese me. - spiega - Rischiammo la C e io vacillai. L'anno seguente però Liedholm volle riportarmi a Roma, per la gioia di mio padre".

Grazie all'allenatore svedese l'ala di Nettuno torna nella capitale e diventa il padrone incontrastato della fascia destra della Lupa, nonché uno dei pilastri della squadra che si apprestava a riscrivere le gerarchie del calcio italiano e internazionale. I primi anni Ottanta sono quelli dell'affermazione di Conti come grande campione, e stringere un legame speciale con i tifosi giallorossi.

"Di Bruno ce n’è uno - cantano allo stadio per lui - e viene da Nettuno”.

Bruno Conti Italy World Cup 1982Getty Images

CAMPIONE DEL MONDO CON L'ITALIA: IL MITO DI 'MARAZICO'

Nel 1980 Enzo Bearzot lo sceglie anche per la sua Nazionale come erede designato di Franco Causio, il quale, pur restando in azzurro, si defila nel ruolo di riserva, lasciando il posto da titolare al giovane romano. Per tutti Conti diventa allora 'Il figlioccio di Causio'.

Il debutto con l'Italia è datato 11 ottobre 1980 nella gara delle Qualificazioni Mondiali contro il Lussemburgo, in cui l'ala giallorossa subentra nella ripresa al posto di Altobelli. Dalla partita successiva è schierato titolare, alla 3ª presenza, contro la Jugoslavia, realizza il suo primo goal e nel giugno 1982 è uno dei punti di forza della squadra che affronta i Mondiali di Spagna.

Inizialmente, anche per lui, come per la squadra, le cose non vanno benissimo in terra iberica.

"Prima di partire mi ero provocato una distorsione, in una amichevole. - rivelerà - Ero preoccupato, era l’occasione della mia vita. Un giorno Bearzot mi guardò mentre mi allenavo e mi prese da parte:  'Bruno, non affrettare i tempi, il posto è tuo e non te lo toglie nessuno'. Mi sentii liberato. Con me e con Pablito, Bearzot fu particolarmente generoso. Sono felice che ambedue lo abbiamo ripagato nel migliore dei modi". 

Dopo un girone in cui la Nazionale fatica, rischiando di essere eliminata, ma Conti riesce comunque a mettersi in mostra con un goal di destro contro il Perù, il riscatto arriva per lui e per i suoi compagni nella seconda parte del torneo: due successi impronosticabili contro Argentina e Brasile lanciano l'Italia di Bearzot fra le candidate al titolo.

"Venivamo da tre partite brutte e avevamo davanti le due squadre più forti del mondo, Argentina e Brasile. Maradona, Zico, Falcão, Passarella... Facevano paura. Tutti ci salutavano con dei risolini, come dei morti che non sapevano di esserlo. E avevano pronti coltelli e veleno. Però noi ci dicevamo: 'In fondo siamo una squadrone, non abbiamo nulla da perdere, proviamoci'. Per fortuna in squadra avevamo il difensore più difficile che mi sono trovato davanti in carriera. Lo stesso che rese la vita impossibile a Maradona e Zico. Siamo grandi amici ma lui, quando ti marcava, era un grande paraculo. Ti tirava la maglia, te ne faceva di tutti i colori. Era tosto, Gentile. La mia bestia nera".

Conti, sempre modesto nelle dichiarazioni, è uno degli uomini decisivi: assist per il goal di Cabrini contro l'Albiceleste, grande partita contro la Seleçao, che cade travolta dalla tripletta di Paolo Rossi. In semifinale sforna ancora l'assist per il 2-0 di testa del solito Pablito contro la Polonia. L'11 luglio 1982 la finalissima vede gli Azzurri di Bearzot giocarsi il titolo mondiale contro la Germania Ovest di Rummenigge.

Conti è letteralmente scatenato,  un moto perpetuo imprendibile per i tedeschi, e sul finire del primo tempo Briegel deve letteralmente abbracciarlo in area. L'arbitro vede tutto e comanda il rigore per l'Italia, ma Cabrini lo fallisce. Dopo il guizzo di Rossi che apre le marcature, nel secondo tempo avvia con Scirea l'azione che porta al 2-0 di Tardelli e chiude con l'assist per il 3-0 di Altobelli, prima che Breitner fissi il risultato sul 3-1. L'Italia, come urla Nando Martellini in diretta, è per la terza volta nella sua storia campione del Mondo.

Al termine di quella gara Pelé lo eleggerà 'Miglior giocatore dei Mondiali', preferendolo alle stelle più attese. Nasce così il mito e il soprannome di 'MaraZico', dai nomi dei due campioni sudamericani che dovettero inchinarsi all'Italia di Bearzot. La FIFA lo inserisce inoltre con merito nella formazione ideale dei Mondiali.

Dopo il grande trionfo del 1982, Conti gioca in Nazionale anche i Mondiali meno fortunati del 1986. La gara degli ottavi di finale contro la Francia di Platini è la sua ultima presenza in Nazionale, che lascia dopo 47 presenze e 5 goal, cedendo la fascia destra al suo erede Roberto Donadoni.

Bruno Conti Roma

I GRANDI SUCCESSI IN GIALLOROSSO E LA GARA DI ADDIO

Se in azzurro Conti è grande protagonista del successo Mondiale del 1982, in giallorosso sono legati anche a lui i grandi trionfi degli anni Ottanta sotto la presidenza di Dino Viola: 5 Coppe Italia e soprattutto lo storico Scudetto del 1982-83, 41 anni dopo il primo.

In una squadra stellare, guidata dal 'Barone' Liedholm, che schiera fra gli altri in attacco Roberto Pruzzo, a centrocampo campioni come Paulo Roberto Falcão, Agostino Di Bartolomei, il giovane Carlo Ancelotti ed Herbert Prohaska, in difesa Pietro Vierchowod, Sebino Nela ed Aldo Maldera, in porta Franco Tancredi,  la stella di Conti brilla con il suo estro e la sua fantasia.

C'è addirittura chi prova a convincerlo a tornare a giocare anche a baseball: si tratta di  Lenny Randle, campione con alle spalle 11 anni in MLB prima di giocare proprio con il Nettuno in Italia. Approdato nella penisola con l'obiettivo di riportare in alto il Nettuno, appresa l'abilità di quel lanciatore mancino, fa di tutto per provare a farlo tornare in rampa di lancio, ma vanamente.

Ormai nella vita sportiva di Conti c'è solo il calcio. L'anno seguente al titolo Bruno è protagonista con i suoi compagni della cavalcata in Coppa dei Campioni. In finale, all'Olimpico, il 30 maggio 1984, è però il Liverpool a trionfare ai calci di rigore, regalando all'ala giallorossa una delusioni più amare della sua carriera. Fra i rigoristi c'è anche il numero 7 giallorosso, che calcia il 2° penalty sul fondo.

"Noi eravamo sotto una pressione micidiale. - racconterà - Ancora ricordo come un incubo Grobbelaar che faceva le moine, non stava mai fermo, faceva finta di svenire. Irritante. Io tirai in curva il mio rigore. Ma dopo averlo sbagliato pensai che avremmo recuperato, che anche loro avrebbero fatto un errore. Fu, dal punto di vista sportivo, una tragedia. Una ferita che sanguina ancora".

"Nello spogliatoio nessuno parlava. - sottolinea ancora Conti - Liedholm aspettò un po’ e poi disse: 'Smettetela di disperarvi. Siete stati bravi, avete fatto una buona partita contro un avversario molto forte. Ora concentriamoci sulla finale di Coppa Italia'. Vincemmo, fu un riscatto. Almeno in parte".

Dopo l'addio di Di Bartolomei, Conti nel 1984-85 indossa anche la fascia da capitano, cedendola poi ad Ancelotti e all'emergente Giannini. Esempio di correttezza e di interpretazione dello sport nella maniera più genuina, sceglie di restare alla Roma fino alla fine, rinunciando anche a contratti importanti. L'ultima gara ufficiale la gioca in Coppa UEFA il 28 novembre 1990. Ottavio Bianchi li concede 10 minuti di gara al posto di Fausto Salsano nel rotondo 5-0 che i capitolini rifilano al Bordeaux all'Olimpico negli ottavi di finale.

Conti fa il suo, concedendosi anche il lusso di alcuni dribbling a metà campo all'età di 35 anni. Al termine della stagione 1990/91 si ritira dopo 402 gare e 47 goal con la maglia della Roma. Il 23 maggio 1991, all'indomani della finale di ritorno di Coppa UEFA, persa dai giallorossi contro l'Inter, 80 mila tifosi, più di quelli che erano presenti allo stadio il giorno prima, accorrono alla sua partita d'addio per dare il loro saluto al grande campione.

In campo per omaggiare lo storico numero 7, quella sera si sfidano la Roma campione d'Italia nel 1983 contro una Selezione brasiliana, guidata da Enzo Bearzot. Prima dell'inizio della partita ogni giocatore è celebrato dallo speaker all'ingresso in campo, fino all'esplosione finale non appena è pronunciato il nome di  "Bruno Conti"; il pubblico è tutto per lui e da quel momento fino al fischio finale continuerà a intonare il coro: "Un Bruno Conti, c'è solo un Bruno Conti".

Dopo pochi minuti Prohaska butta fuori il pallone per fermare il gioco. Il numero 7 giallorosso si avvicina allora alla Tribuna d'Onore dove si trova Flora Viola, moglie dello storico presidente della Roma Dino Viola, si sfila la maglia e la regala in segno di riconoscenza verso la famiglia del presidente. La gara prosegue con azioni spettacolari e si conclude con un 4-3 per i giallorossi.

"L’ultimo anno con la Roma è stato sofferto. - racconta Bruno a 'gianlucadimarzio.com' nel 2015 - Altre squadre mi volevano. Ma io avevo deciso di finire con la mia maglia, quella giallorossa. Anche per mio padre. Così arrivammo alla sera della partita di addio, contro una selezione di campioni di tutto il mondo che erano venuti per me. Il giorno prima avevamo perso la Coppa UEFA con l’Inter e io temevo non ci fosse nessuno allo stadio".

"Appena il pullman si è mosso dall’albergo abbiamo trovato auto e motorini che ci suonavano e all’Olimpico c’erano 80 mila persone. Un clima incredibile. Io ero in trance. Alla fine feci il giro del campo con i miei figli, uno con la maglia della Nazionale e uno con quella della Roma. Mi fermai davanti alla Curva, mi inginocchiai per ringraziare dell’amore che mi avevano dato i tifosi".

L'ultimo atto lo vede sfilarsi lo scarpino sinistro, quello del suo piede 'magico', baciarlo e lanciarlo ai tifosi che lo hanno sempre accolto come uno di loro.

Bruno Conti Daniele Conti Daniele Conti Testimonial Match 05232016Getty Images

DIRIGENTE, ALLENATORE E CAPOSTIPITE DI UNA DINASTIA

Smessi i panni del calciatore, Bruno Conti diventa allenatore delle Giovanili della Roma e dirigente. Da marzo a giugno del 2005 ha anche allenato la Prima squadra subentrando a Gigi Del Neri e portandola alla finale di Coppa Italia.

"Ho cominciato a girare i campi di periferia. - racconta - Ho scoperto De Rossi, Aquilani, Bovo, Florenzi, Bertolacci, Romagnoli. Mi piaceva il rapporto con la gente, con le famiglie". 

Attualmente è tornato a ricoprire la carica di Responsabile del Settore giovanile della Roma. Nella vita privata ha sempre avuto al suo fianco Laura, che è diventata sua moglie, e gli ha dato due figli, Daniele e Andrea.

"Ho conosciuto mia moglie in spiaggia, - ha raccontato nel gennaio 2020 nel corso del programma 'Vieni da me' di Caterina Balivo, in onda su 'Rai Uno' - grazie ad un mio amico che me la presentò al campo di allenamento. A mia suocera piaceva Gabriella Ferri ed io andavo in giro con un mangianastri, così che mi facesse fermare vicino al loro ombrellone".

"Lei ha cresciuto i figli, io ero sempre in giro: non è mai voluta essere in vetrina, le piaceva crescere la famiglia. Ho trovato una persona stupenda che ha capito qual è il vero valore della famiglia ad oggi. Dal ’67 ad oggi stiamo ancora insieme e stiamo ancora bene".

Come papà Bruno, anche i figli Daniele e Andrea sono diventati calciatori professionisti. Daniele, in particolare, ha avuto una carriera importante, diventando, dopo gli esordi con la Roma, una bandiera del Cagliari.

"Non ho mai imposto niente, è venuto tutto spontaneo: il calcio gli è sempre piaciuto. Andando avanti, per loro è stato anche un cognome pesante, ma penso di avere soddisfazioni: Andrea ha avuto sfortuna, era più forte di me e di Daniele. Daniele ha battuto tutti i record del Cagliari, ora fa il responsabile della Primavera e guai a chi gli tocca Cagliari. Son contento perché ha messo a tacere tanta gente, i paragoni sono stati tanti".

Anche suo nipote Bruno Junior, figlio di Daniele, classe 2002 e mancino come il nonno, ha intrapreso la carriera da calciatore, e dopo aver giocato con l'Italia Under 17 ed esser stato in ritiro con la Prima squadra del Cagliari, il 12 settembre 2020 ha giocato qualche minuto nell'amichevole precampionato fra i rossoblù e la Roma.

Nonno Bruno per ora non commenta, osserva e applaude. Qualche anno prima, il 23 maggio 2016, è sceso in campo per qualche minuto nel giorno dell'addio al calcio di suo figlio Daniele, con cui si è dato il cambio. Alla serata di festa allo Stadio Sant'Elia ha preso parte anche il giovanissimo Bruno Junior, che ha anche segnato un goal. Toccherà a lui, che ora gioca nel Monterosi, tenere in alto il nome della dinastia di cui il campione di Nettuno è stato il capostipite.

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