Franco Mancini FoggiaGOAL

Franco Mancini, il ‘libero con i guanti’ che rese possibile Zemanlandia

"Gli altri giocatori possono sbagliarsi di brutto una volta o anche di più, ma si riscattano con una finta spettacolare, un passaggio magistrale, un tiro a colpo sicuro: lui no. La folla non perdona il portiere. È uscito a vuoto? Ha fatto una papera? Gli è sfuggito il pallone? Le mani di acciaio sono diventate di seta? Con una sola papera il portiere rovina una partita o perde un campionato, e allora il pubblico dimentica immediatamente tutte le prodezze e lo condanna alla disgrazia eterna. La maledizione lo perseguiterà fino alla fine dei suoi giorni”.

Eduardo Galeano, una delle più grandi personalità della letteratura latinoamericana, nel suo ‘Splendori e miserie del gioco del calcio’, è riuscito a raccontare come pochi il ruolo del portiere. Lui, che da piccolo sognava di diventare un grande giocatore, si è dovuto arrendere al fatto che il destino non gli abbia regalato il talento necessario per emergere su un prato verde. Di riflesso però gli ha dato il dono di mettere in parole quella sua grande passione, come solo i maestri possono fare.

Quello del portiere è in effetti un ruolo ingrato. Rispetto ai compagni di squadra può usare le mani, ma si veste in maniera differente, deve portare i guanti, passa buoni tratti di una partita in totale solitudine e, come se non bastasse, proprio come spiegato da Galeano, paga e fa pagare a carissimo prezzo ogni suo minimo errore.

Fare il portiere è complicato e forse lo è ancora di più se giochi in una squadra plasmata dal suo allenatore con poche e semplici idee, che di fatto avvantaggiano solo chi gioca in avanti: pressing forsennato, tanta corsa, baricentro altissimo ed esterni chiamati solo ad offendere. Con una tale disposizione tattica il rischio di prendere molti goal è all’ordine del giorno, ma poco importa se poi l’obiettivo è farne solo uno in più degli avversari.

È così che Zdenek Zeman ha pensato quello che poi sarebbe stato ricordato come il Foggia dei Miracoli ed è così che poi l’ha effettivamente preparato e schierato in campo anche contro le più forti squadre italiane.

Quando il Foggia nella stagione 1991-92 si presenta ai blocchi di partenza di quel campionato di Serie A dal quale mancava da ben tredici anni, nessuno può nemmeno lontanamente immaginare cosa sta per abbattersi sul calcio italiano. I primi a fare i conti con un qualcosa di totalmente innovativo saranno i giocatori dell’Inter di Corrado Orrico che, alla prima giornata e a San Siro, si rendono conto che quegli sconosciuti in maglia rossonera non solo sono scesi in campo senza il minimo timore reverenziale, ma giocano a velocità vertiginose e attaccano come forsennati. La partita finirà 1-1, ma gli applausi dei settantamila assiepati sugli spalti del mitico impianto meneghino saranno tutti per i Satanelli.

Con il passare delle giornate, tutte le avversarie capiscono che quella di Milano non è stata una ‘partita uscita bene’. Anzi, il Foggia si guadagna le attenzioni di tutti. E questo per un semplice motivo: vedere una gara dei rossoneri equivale ad assistere ad un qualcosa che in Italia non si era mai visto prima.

Giocare in costante proiezione offensiva comporta ovviamente dei rischi e a correrli è tutti Franco Mancini: il portiere. Come tutti i suoi colleghi è chiamato a sventare le minacce portate dagli avversari e a raccogliere i palloni in rete quando non c’è nulla da fare. Lui però va oltre a quello che fino ad allora era il concetto di estremo difensore.

Foggia 1991-1992

È nato a Matera e fin da bambino gioca sul campo in terra battuta del rione Bottiglione, a due passi da quel panificio nel quale poco dopo inizierà a lavorare. Di notte si prepara il pane e di giorno ci si allena e, quando il tempo a disposizione lo permette, si dedica il resto della giornata all’altra grande passione: la musica e la batteria in particolare.

Mancini gioca in attacco, ma il fratello Vito si accorge ben presto che è dotato di riflessi e qualità atletiche degne di un buon portiere. Il giovane Franco si sposterà quindi tra i pali, ma i piedi buoni gli resteranno e gli torneranno parecchio utili in futuro.

Giovanissimo esordisce nel Matera, la sua squadra del cuore, e in breve tempo, nonostante non abbia ancora compiuto 20 anni, diventa titolare inamovibile in C2. Leggenda narra che Peppino Pavone, uno degli uomini che contribuì in maniera determinante a costruire il Foggia dei Miracoli, lo contattò mentre era diretto al panificio nel quale lavorava. Quello che è certo è che lo convinse a trasferirsi in capitanata.

Gli inizi non sono semplici e in C1 Mancini non riesce ad andare oltre al ruolo di riserva, ma quando Zdenek Zeman torna al Foggia (ci era già stato anni prima), è amore a prima vista: il tecnico boemo ha trovato l'elemento perfetto per il suo progetto visionario.

Mancini non è un semplice portiere, diventa un ingranaggio fondamentale per quella che di lì a poco sarebbe passata alla storia come Zemanladia, ovvero il più grande ‘Luna Park a tema calcistico' che si sia mai visto in Italia. Gioca anche a venti metri dalla sua porta, accorcia la difesa, fa ripartire l’azione grazie anche ad una straordinaria precisione nei lanci e, quando il Foggia è sbilanciato - e la cosa capita spesso - anticipa i suoi avversari e parte palla al piede.

Le doti tecniche sono quelle di un giocatore di movimento e lo sa bene anche Marco Van Basten, uno dei più grandi attaccanti di ogni tempo. Si gioca allo Zaccheria, dove il Foggia ospita un Milan straordinario ed il fuoriclasse olandese, nell’avventarsi su un pallone filtrante che viaggia veloce verso la porta avversaria, viene anticipato da Mancini che, ovviamente ben distante dalla sua area di rigore, lo salta con un sombrero. Un gesto che non ha nulla a che fare con lo scherno o con una mancanza di rispetto per l’avversario. Chi ha visto all’opera i Satanelli di Zeman, sa che il numero uno rossonero è spesso costretto ad improvvisare per disinnescare una minaccia.

E’ anche con giocate come questa che il materano si guadagna il soprannome di Higuita dei Sassi, la realtà è un'altra: Mancini è semplicemente stato il primo portiere libero del calcio italiano. 'Il libero con i guanti', dirà qualcuno.

A Foggia ci resterà per quasi dieci anni e per la squadra ricordata come quella di Rambaudi, Baiano e Signori, i tre terribili tenori di un tridente straordinario, il suo contributo è fondamentale. Non ci sarebbe mai stata Zemanlandia senza Franco Mancini.

Come tutte le favole, anche quella del Foggia dei Miracoli giungerà al suo epilogo, ma intanto tra Zeman ed il ‘suo’ portiere si è creato un legame inscindibile. Il tecnico boemo lo rivorrà con sé prima alla Lazio poi, qualche anno più tardi al Napoli e anche quando Mancini appenderà i guanti al chiodo gli chiederà di seguirlo in veste di preparatore dei portieri.

Lo chiama per un’ultima romantica avventura al Foggia, ma questa volta le soddisfazioni di un tempo non arriveranno, e poi a Pescara, dove disegna una squadra ricca di giovani di talento come Verratti, Insigne ed Immobile.

Quella creata in Abruzzo dal boemo è la cosa che più si avvicina a Zemanlandia e lo spettacolo è assicurato. La sensazione è quella che qualcosa di magico stia per accadere e che quella Serie A inseguita per diciannove anni sia finalmente ad un passo.

Ci sono tutti gli ingredienti per una storia meravigliosa, ma il destino ha riservato ad uno dei suoi protagonisti un tragico finale. Franco Mancini il 30 marzo 2012 muore nella sua casa di Pescara. La moglie Chiara, nel tornare dalla Puglia, lungo il viaggio prova a contattarlo più volte ma non ci riesce. Sa che il marito in mattinata ha regolarmente preso parte ad un allenamento, quello che non può immaginare è che un infarto se l’è portato via ad appena 43 anni.

Saranno migliaia le persone che parteciperanno ai suoi funerali a Manfredonia e tra loro ci saranno tanti ex compagni, i ragazzi che allenava, molti dei tifosi che ha fatto sognare ed anche quello che per lui è stato una sorta di secondo padre: Zdenek Zeman.

Zdenek Zeman PescaraGetty

Quando pochi mesi più tardi, il 20 maggio, il Pescara vincendo sul campo della Sampdoria festeggerà la promozione matematica in A, le primissime parole, miste a lacrime, del boemo saranno proprio per Mancini.

“È tutto bello, dopo un anno di lavoro, anche se a me viene da piangere per Franco. Una dedica speciale? Per me è tutta per Franco”.

Franco Mancini è stato molto più di un portiere rivoluzionario, di un ragazzo che ha interpretato un ruolo come forse nessuno aveva mai fatto prima. Nello spogliatoio del Foggia si era guadagnato il soprannome di Orso perché parlava poco, ma evidentemente sapeva entrare nel cuore della gente e questo neanche il destino potrà mai portarglielo via.

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