GFX Giuseppe Signori

Giuseppe Signori, il 'Re del goal' che non sapeva di essere un bomber

Archivio StorieGOAL
“Benvenuto bomber”.

Due parole come tante altre che in ambito calcistico saranno state accomunate milioni di volte, ma anche due parole che diventano molto meno banali se rivolte ad uno che bomber non è e da un allenatore che con la sua mente è già andato oltre, disegnando con l’immaginazione un qualcosa di inimmaginabile anche per il protagonista di una storia speciale: quella di colui che senza saperlo, sarebbe diventato uno dei più grandi attaccanti dell’intera storia del calcio italiano.

Può una frase così breve e diretta cambiare la vita di un giocatore? Evidentemente sì, se poi accompagnata dalla voglia di credere ad un qualcosa al quale si stenta a credere. E’ così che Zdenek Zeman ha accolto Giuseppe, in arte Beppe, Signori quando quest’ultimo è approdato al Foggia nel 1989. Un saluto di quelli che spiazza, tanto che lo stesso giocatore inizialmente si è voltato pensando che quelle parole fossero rivolte a Meluso, bomber lui sì di periferia.

A lasciare interdetto Signori furono dei dati di fatto: sin lì in carriera aveva sempre giocato da trequartista e inoltre, nell’annata precedente a Piacenza, aveva marcato appena cinque reti in trentadue presenze in Serie B. Mai aveva segnato tanto da quando era professionista.

Eppure il tecnico boemo aveva intravisto in lui qualità particolari, doti che lo rendevano ideale per il suo 4-3-3 e che ben valevano un esborso da un miliardo e mezzo di lire. Una cifra esorbitante per il Foggia che Pasquale Casillo, il patron rossonero, inizialmente non aveva alcuna voglia di sborsare.

Come capitato a tanti giocatore prima e dopo di lui, l’incontro con Zeman rappresenterà quella svolta che darà un senso del tutto diverso ad un’inter vita calcistica. Inserito in un contesto allora del tutto inedito per il calcio italiano e rafforzato da allenamenti al limite del massacrante, Signori non solo scoprirà di avere un feeling non indifferente con la porta, ma anche che in quel suo sinistro meraviglioso ci sono tanti goal che chiedono solo di essere realizzati.

“Ricordo che il mio primo anno in B con il Foggia eravamo ultimi in classifica alla fine del girone d’andata. Stavano per esonerare Zeman che si salvò grazie anche ad un mio goal contro il Messina. Da lì in poi non ci siamo più fermati ed abbiamo anche sfiorato la promozione”.

L’approdo in Serie A arriverà un anno più tardi, quando il ‘Tridente delle Meraviglie’ Rambaudi-Baiano-Signori, ovvero l’ultimo pezzo mancante della macchina perfetta idealizzata da Zeman sarà stato completato, e quando l’11 rossonero avrà ormai capito che dietro quel primo saluto del suo allenatore c’era molto di più che un semplice svarione.

Ai ventisei goal realizzati nei due anni in capitanata in Serie B, si aggiungeranno altri undici nella prima stagione in Serie A che, accompagnati da prestazioni e a giocate da fuoriclasse assoluto, varranno il salto definitivo. Se infatti è vero che Zemanlandia è quanto di più bello si sia sin lì visto nel campionato italiano, è altrettanto vero che Foggia e il Foggia non possono non andare stretti a chi per doti naturali può tranquillamente essere considerato tra i migliori nel suo ruolo. Tra i migliori a livello mondiale.

Signori si riscopre così giocatore tra i più desiderati in Italia. Lo vogliono in tanti, ma ad avere la meglio è la Lazio che, agli albori dell’era Cragnotti, sogna di poter diventare una potenza capace di giocarsela con tutti. Il club biancoceleste, pur di assicurarsi quel giocatore che per qualità, caratteristiche e sinistro è chiamato a sostituire Ruben Sosa (un idolo assoluto nella capitale), decide di mettere sul tavolo qualcosa come otto miliardi di lire. E’ una cifra enorme per il piccolo Foggia e infatti, nonostante le smentite di rito, Casillo impiegherà meno di un secondo a dare il suo assenso alla cessione.

Quello che Signori non può sapere è che nel momento in cui appone la firma sul contratto che lo legherà alla Lazio, si riserverà un posto nella storia dei grandissimi del calcio italiano. Sebbene accolto da alcuni con diffidenza (erano ancora in diversi a chiedersi quanto ci fosse di suo e quanto ci fosse di Zeman nei suoi goal), impiegherà pochissimo tempo a convincere tutti e anzi, con i suoi numeri e le sue prestazioni andrà anche ben oltre le aspettative.

Giuseppe Signori LazioGetty

Il passaggio da una realtà come Foggia ed una come Roma è enorme e Signori lo capirà fin da subito sulla sua pelle: salterà infatti il primo giorno di raduno perché smarritosi nella capitale alla ricerca di Tor di Quinto, ovvero il posto dove avrebbe dovuto svolgere le visite mediche. Nessun 'divino presagio', nessuna falsa partenza. Solo un normale disguido.

Messo alle spalle quel primo intoppo, da lì in poi il discorso si farà in discesa. Basterà una doppietta all’esordio in biancoceleste a Marassi in un 3-3 contro la Sampdoria a spazzare via gli ultimi dubbi e a catapultarlo alla velocità della luce nel cuore dei tifosi. Sono quelli i primi due goal di ventisei in trentadue partite di campionato che varranno una qualificazione per la Coppa UEFA ed il ritorno della Lazio in Europa dopo quindici anni, e a livello personale il primo titolo di capocannoniere della sua carriera.

Nella stagione successiva, quella 1993-94, i goal saranno ventitré in ventiquattro partite in Serie A e varranno per la seconda valuta consecutiva il primo posto posto nella classifica dei marcatori, oltre che il primo ingresso nella lista dei giocatori in corsa per il Pallone d’Oro.

Signori è ormai una stella di caratura internazionale, è l’uomo immagine della Lazio e uno dei punti di forza della Nazionale.

Nell’estate del 1994 inoltre, a Dino Zoff viene proposta la carica presidenziale e sulla panchina biancoceleste approderà l’uomo dal quale era partito tutto: Zdenek Zeman. Chi si aspetta del calcio spettacolo non verrà deluso e con il ‘circo di Zemanlandia’ che ha spostato i suoi tendoni nella capitale, oltre al gran gioco arriveranno anche quei risultati ai quali il club biancoceleste, dopo un paio di anni di preparazione, aspira. In campionato sarà secondo posto alle spalle della sola Juventus, il che sostanzialmente si traduce in una sola cosa: il bersaglio grosso si sta avvicinando.

Proprio nel momento in cui tutto lascia pensare che nulla possa mai separare Signori dalla squadra della quale è diventato più che un semplice uomo simbolo, avviene però l’inaspettato. E’ l’11 giugno 1995 quando Sergio Cragnotti annuncia la cessione dell’attaccante al Parma.

Il popolo biancoceleste si ritrova catapultato in un incubo: la bandiera, nonché uno dei giocatori più letali dell’intero panorama calcistico mondiale, è stato ceduto senza il minimo preavviso.

Signori in realtà la maglia del Parma non la indosserà mai, perché proprio il popolo biancoceleste, il suo popolo, si riverserà nelle strade per protestare. In oltre quattromila marceranno verso la sede di un club che, a poche ore dell’annuncio della cessione, dovrà emettere un altro comunicato con il quale comunica l’interruzione di ogni trattativa. La Lazio rinuncerà ai venticinque miliardi già in arrivo da Parma, ma da qui in poi le cose non saranno più come prima.

“Io non voglio casini. A Roma sto bene e non me ne voglio andare, ma sono deluso. Pensavo di essere in piena sintonia con questa società e invece hanno fatto tutto loro. Sono stato l’ultimo a saperlo e la cosa mi sembra assurda”.

Cragnotti, che non prende bene tanto il mancato arrivo nelle casse della società liquidi che sarebbero stati fondamentali, quanto una scelta imposta dalla piazza, annuncia la sua volontà di farsi da parte, ma basteranno pochi goal a mettere da parte la rabbia, la delusione ed anche gli insulti presi.

Signori chiuderà infatti l’annata successiva con ventiquattro reti in campionato che varranno un terzo posto ed un terzo titolo di capocannoniere della Serie A, ma di lì a pochi mesi ad attenderlo ci sarà un nuovo bivio.

E’ infatti il 27 gennaio 1997 quando Zeman viene esonerato. Il tecnico boemo, da sempre uomo fuori dagli schemi, non ha tra l’altro mai comprato un telefonino e sarà proprio Signori, chiamato da Zoff, a passargli il suo dal quale riceverà la notizia. E’ la fine di un’era. E’ il primo passo che porterà verso l’addio.

Quando infatti l’estate successiva la Lazio ingaggerà Sven-Goran Eriksson, ripartirà da un allenatore che ha due certezze: la squadra va rinnovata e del progetto non può far parte anche Beppe Signori.

“Credevo che ci fossero dei giocatori che non avevano la giusta mentalità per restare alla Lazio. Signori era uno di questi. Era un campione fantastico, era il capitano della squadra, il miglior marcatore ed era un Nazionale, ma aveva un problema: era stato tanti anni a Roma senza vincere e questo non era positivo. Al presidente dissi quindi subito ‘Dobbiamo vendere Signori’. Ricordo ancora la sua reazione, pensavo gli potesse venire un infarto”.

Il tecnico svedese aveva pensato a giocatori come Veron, Mihajlovic e Roberto Mancini per quel salto di qualità che poi in effetti arriverà. Signori, l’uomo che per cinque stagioni aveva consentito alla Lazio di restare al alti livelli grazie a numeri prodigiosi, si ritroverà escluso dal progetto proprio quando il club si riscoprirà finalmente pronto a tornare a vincere.

Quando lascerà Roma lo farà con 127 reti all’attivo in 195 partite complessive giocate, cosa che all’epoca fecero di lui il secondo miglior marcatore della storia della Lazio alle spalle del solo Piola. Si congederà con tre titoli di capocannoniere nel suo curriculum, ma anche con nessun trofeo messo in bacheca.

“Io mi sarei visto laziale a vita, non è andata così. Il problema non era giocare o meno, il problema era il sentirsi trattato come un ragazzo della Primavera dopo tutto quello che avevo fatto. Un allenatore è pagato per fare delle scelte, ma il rispetto per la persona deve restare. Mi sarebbe piaciuto che le cose fossero andate diversamente con Eriksson”.

Signori ripartirà dalla Sampdoria, ma la breve avventura all’ombra della Lanterna sarà accompagnata da poche soddisfazioni, diversi problemi fisici e da quella sensazione diffusa che a trent’anni avesse già dato il meglio di sé. Quello che né lui né in molti altri possono sapere è che invece ad attenderlo c’è un ulteriore grande capitolo della sua carriera da vivere.

Giuseppe Signori BolognaGetty

Nell’estate del 1998 Signori si trasferisce infatti al Bologna, club che allora si era specializzato nel recuperare e rilanciare campioni che sembravano sul viale del tramonto. La cosa era già abbondantemente riuscita con Roberto Baggio, fuoriclasse assoluto con il quale Signori aveva condiviso la stessa stanza ad USA ’94, e fu proprio la felice esperienza del ‘Divin Codino’ ad ispirare la sua scelta.

“Vengo da delle delusioni, ma a Bologna troverò l’ambiente ideale e giusti stimoli. E’ la squadra perfetta per la rinascita e vedrete che con l’aiuto di tutti riuscirò a ripercorrere la stessa strada di Roberto”.

In rossoblù, da Baggio Signori erediterà la maglia numero 10, la fascia da capitano ed il ruolo di leader naturale in campo. Il tutto si tradurrà in annate da straordinario protagonista, con l’unico neo di quel rimpianto di una finale di Coppa UEFA sfiorata e sfumata solo dopo un doppio pareggio in semifinale contro il Marsiglia nell’edizione 1998-1999 del torneo.

Quello con Bologna non sarà un rapporto fugace. Signori vi resterà per sei prolifiche stagioni scandite da ottantaquattro reti in centosettantasei partite e vi tornerà una volta appesi gli scarpini al chiodo dopo gli ultimi scampoli di calcio vissuti tra Grecia ed Ungheria vestendo le maglie di Iraklis e Sopron.

Quando si ritirerà lo farà da autentico ‘Re del goal’. Veloce, esplosivo, letale e capace di prodezze balistiche straordinarie. Aveva tutto ciò che serviva per essere un fuoriclasse e lo è stato, peccato solo che in Azzurro non sia riuscito a raggiungere quella consacrazione che avrebbe meritato.

La sua grande occasione furono i Mondiali del 1994, ma il suo estro ed il suo ruolo naturale mal si sposavano con i rigidi dettami del 4-4-2 di Arrigo Sacchi. Il commissario tecnico, che pure a fatica rinunciò alle sue incredibili qualità, lo dirottò largo a sinistra in un ruolo nel quale non poteva rendere come avrebbe voluto.

C’era troppo campo da coprire e la porta era troppo lontana per poter fare realmente male così, quando si rifiutò di giocare ancora da centrocampista la semifinale contro la Bulgaria, di fatto si autoescluse dalla finale con il Brasile.

“E’ il mio rimpianto non aver giocato la finale dei Mondiali del 1994, perché quella era un’occasione unica. A distanza di anni è facile ammetterlo, ma quella fu una decisione istintiva e dettata dal momento”.

Con lui in campo a Pasedena le cose sarebbero magari andate in maniera diversa o ancora, visto che cinquantasette dei goal segnati in carriera sono stati frutto di trasformazioni dal dischetto, magari la storia di quella lotteria dei rigori sarebbe potuto essere molto differente.

Non lo sapremo mai e comunque nel calcio ragionare con i se e i ma non ha senso. Quello che è certo è che Signori si è guadagnato di diritto un posto tra i più grandi attaccanti italiani di sempre. Niente male per uno che non sapeva di essere un bomber…

Pubblicità