La saracinesca di Juventus e Lazio: la straordinaria carriera di Angelo Peruzzi

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Leggenda narra che abbia sviluppato dei riflessi straordinari pescando i pesci a mani nude nel fiume quando era ancora un bambino nella sua Blera, ma lui, che ha sempre dimostrato di essere dotato di enormi dosi di schiettezza e realismo, non solo non ha fatto nulla per alimentare questa storia, ma anzi l’ha smentita con la tranquillità di chi è consapevole di aver fatto cose talmente grandi da non aver bisogno di aggiungere altri capitoli al libro che racconta di una carriera straordinaria.

“Quando i pesci si muovono, non li prendi - ha spiegato a ‘La Gazzetta dello Sport’ - Devono essere fermi. Così non è che ho allenato i riflessi”.

Se si va di stilare una classifica dei migliori portieri italiani di ogni tempo, non si può non inserire Angelo Peruzzi nelle primissime posizioni. E’ stato un grande campione ed è arrivato dove è arrivato smentendo ogni tipo di stereotipo. A differenza di molti colleghi infatti non è altissimo, non è slanciato e non è dotato di ‘sana follia’. E’ viceversa pratico, freddo, concreto e dotato di un senso della posizione fuori dal comune, oltre che di incredibile esplosività, che gli permettono di arrivare ovunque. Sempre senza curarsi di dare troppo spazio allo spettacolo.

“Io ho sempre avuto un punto di riferimento: Dino Zoff - ha raccontato a ‘Sport Uno’ - Non gli ho mai visto fare parate spettacolari, però è ritenuto da tutti uno dei più forti portieri che ci siano mai stati. Se hai questo tipo di modello, la platealità non esiste”. 

Il calcio ha riservato ad Angelo Peruzzi tutto ciò che potesse riservare. Gioie, fama, gloria, delusioni ed anche uno scivolone che ha rischiato di porre fine a tutto con largo anticipo. Un lungo saliscendi iniziato quando era ancora un bambino e nel modo più improbabile possibile.

Se Peruzzi è infatti diventato il portiere che è diventato, lo deve soprattutto all’occhio lungo di una maestra delle elementari. Da piccolo infatti, come tutti i suoi coetanei, ama correre in attacco e segnare tanti goal, ma nel corso di una gara giocata a livello scolastico, sarà proprio quella maestra a spostarlo tra i pali perché lo vede più alto e agile dei suoi coetanei: “Tu se salti puoi toccare la traversa”. Una volta entrato in porta, Angelo non ne uscirà più.

Le partite sempre più importanti nella sua Blera, i provini non andati bene con Cesena e Milan e poi la possibilità, a tredici anni, di entrare in maniera quasi casuale nel settore giovanile della Roma.

Quello che si trasferisce nella Capitale è un ragazzo che per la prima volta si allontana dalla sua famiglia, che non ha mai tifato per una squadra di calcio in particolare, e che è accompagnato da un’innata tranquillità che riesce a trasferire, o quanto meno a mostrare, anche in campo.

La scalata verso la prima squadra è di quelle rapidissime. Franco Tancredi è, oltre che una bandiera della Roma, anche il titolare inamovibile, ma Nils Liedholm si accorge subito di poter contare su un ragazzo che, nonostante non abbia ancora compiuto diciassette anni, è già più che pronto a vestire i panni di ‘vice’.

Peruzzi cresce senza ansie all’ombra del collega più esperto, ma il 13 dicembre 1987 il destino gli impone di farsi trovare pronto. I giallorossi sfidano a San Siro il Milan e nel corso del primo tempo Tancredi viene colpito da un petardo lanciato dagli spalti. Durante l’intervallo diventa chiaro che non c’è la possibilità che riprenda il suo posto in campo ed è Pruzzo a quel punto ad avvicinarsi al più giovane dei suoi compagni di squadra e ad avvertirlo che tocca a lui: “Guarda che devi giocare tu, non abbiamo altri portieri”.

Peruzzi se la cava benissimo parando tutto ciò che può parare e verrà battuto solo da Virdis su rigore. Alla fine verrà comunque assegnata la vittoria a tavolino, il tutto mentre in Italia si inizierà a parlare di un giovane estremo difensore di appena diciassette anni che sembra avere già tutto per poter giocare con continuità in Serie A.

Dimostrerà effettivamente di essere già un portiere ‘fatto e finito’ nel corso di una stagione, quella 1989-1990, vissuta in prestito a Verona e quando tornerà a Roma in molti si è già insinuata una certezza: il club ha per le mani un ragazzo destinato a vestire di giallorosso per almeno venti anni.

Quello che nessuno può sapere è che Peruzzi in realtà giocherà solo altre cinque partite con la maglia della Roma. Il 23 settembre del 1990 infatti, dopo un Roma-Bari, viene sorteggiato con Carnevale e Rizzitelli per un controllo antidoping. Sia lui che Carnevale risulteranno positivi alla fentermina. 

“Ci furono versioni differenti - ha puntualizzato a ‘Sport Uno’ - La realtà è che presi quella pasticca nello spogliatoio dell’Olimpico prima di una partita con il Benfica. Tornavo da un infortunio, ero fermo da un mese, e chi me la diede mi disse ‘Se la prendi non sentirai dolore’. Non pensavo assolutamente di alterare le mie prestazioni, ero stirato e pensai che in quel mondo non mi sarei fatto male un’altra volta. E’ stata l’incoscienza di un ragazzino. Feci una grossa stupidaggine, fui un deficiente. Mi diedero un anno di squalifica, una mazzata tremenda, ma io sono uno di quelli che se sbaglia paga. A darmi realmente fastidio fu il fatto che la gente parlava di me come di un drogato”.

A soli diciannove anni Peruzzi si riscopre estromesso da tutti i piani della Roma e scaraventato su tutte le prime pagine. Ci sono tutti i presupposti perché una carriera, immaginata come da tutti eccezionale, si trasformi in un qualcosa di diverso, ma a capire prima di tutti che quella situazione si può trasformare in un ‘affare’ è la Juventus.

Angelo Peruzzi JuventusGetty

E’ Luca Cordero di Montezemolo a chiamarlo per primo per chiedergli se se la sente di ripartire dalla Juve. Peruzzi accetta perché sa che alla Roma per lui non c’è più spazio, ma si resta nell’ambito degli accordi verbali. Quando mesi dopo lo stesso Montezemolo lascia Torino, la sensazione è quella che il treno sia passato, ma di lì a poco sarà Giampiero Boniperti a convocarlo all’ombra della Mole. 

Peruzzi è pronto a firmare il ‘contratto della vita’, ma quando arriva in sede capisce che lo stipendio che lo attende è molto diverso da quello che aveva immaginato.

“Fece tutto Boniperti - ha raccontato a ‘Hurrà Juventus’ - Appena entrati nella sua stanza, mi chiese se ero sposato. Gli risposi di no. E lui: ‘Allora cerca di sposarti presto’. Mi disse: ‘Firma qui, vedrai che ti troverai bene’. Firmai per quattro anni”.

Come già accaduto alla Roma, Peruzzi si riscopre all’ombra di una bandiera del club, Stefano Tacconi, ma sa che tutto va letto in ottica futura. La prima stagione in bianconero la vive da ‘secondo’, ma è ben presto chiaro a tutti che l’anno passato lontano dai campi da calcio non gli ha tolto nulla dal punto di vista tecnico, e la cosa porta nel giro di pochi mesi Giovanni Trapattoni a prendere una decisione che cambierà le gerarchie.

“Mi spiace per Stefano, ma da oggi il portiere titolare della Juve sarà Peruzzi”.

Sarà a Torino che Peruzzi si consacrerà come uno dei portieri più forti della sua generazione e dell’intera storia del calcio italiano. Diventerà titolare inamovibile in Nazionale e vincerà, sempre da protagonista, tre Scudetti, due Supercoppe Italiane, una Coppa UEFA, una Champions League, una Coppa Intercontinentale ed una Supecoppa Europea. In parole povere, tutto ciò a cui un calciatore può ambire.

Raccoglie l’eredità lasciata da due grandissimi come Zoff e Tacconi e lo fa concedendosi pochissime sbavature, una delle quali incredibilmente nella finale di Champions del 22 maggio del 1996 a Roma contro l’Ajax.

“Ci fu un calcio di punizione e non vidi partire la palla - ha spiegato a ‘T9’ - Provai ad alzarla con i pugni, ma andò sul petto di Ferrara e quindi rimase lì a disposizione di Litmanen che poi segnò. Un mezzo errore in finale di Champions, avevo dentro tanta rabbia e quindi quando si arrivò ai rigori la tensione per me era allucinante”.

Peruzzi si riscatta disinnescando i rigori di Davids e Silooy, e mettendo dunque anche la sua firma su uno dei più importanti trionfi della storia della Juve.

Resterà in bianconero altri tre anni e quando andrà via lo farà dopo essersi meritato un posto tra i grandi della storia del club. In realtà, in cuor suo, sa che ci sono poche ragioni per lasciare Torino, ma le trattative per il rinnovo non portano ad un accordo. Quando Moggi gli dirà che riceverà lo stipendio che vuole, ma a Milano e soprattutto dall’Inter, faticherà a capire se si tratti di scherzo o realtà. Capirà che la sua avventura all’ombra della Mole si è conclusa, solo quando apprenderà ascoltando la radio in macchina, che la Juve ha chiuso per Van der Sar.

In nerazzurro ritrova Marcello Lippi, Roberto Baggio e Christian Vieri, ed ha la possibilità di giocare con il più forte calciatore del pianeta: Ronaldo.

Sulla carta c’è tutto per fare bene, ma l’Inter si riscoprirà costretta a fare i conti con problemi troppo grandi. Vieri e Ronaldo si fanno male subito, nello spogliatoio l’aria non sempre è delle migliori e quindi, una squadra costruita per vincere tutto, non vincerà nulla.

La sua avventura meneghina durerà un solo anno, anche perché intanto in Peruzzi si è fatta forte la voglia di riavvicinarsi a casa. A dargli la possibilità di farlo sarà la Lazio, la società che sborserà oltre trenta miliardi per farlo suo, e con la quale vivrà il secondo capitolo più importante della sua carriera.

Angelo Peruzzi LazioGetty

Tornare a Roma per vestire la maglia biancoceleste dopo aver vissuto otto anni alla Roma, viene visto da tanti come una sorta di tradimento, ma per chi si è sempre approcciato al calcio senza essere tifoso o avere alcuna fede, la cosa non rappresenta un problema. Per ‘Tyson’ (questo il soprannome che lo accompagnerà per anni per via della sua corporatura), si tratta di lavoro e basta e la Lazio rappresenta anche un’altra occasione: quella di tornare a competere ai più alti livelli.

Quella nella quale approda è infatti una squadra che ha appena vinto lo Scudetto e che negli anni precedenti ha messo in bacheca due Coppe Italia, una Supercoppa Italiana, una Coppa delle Coppe ed una Supercoppa Europea. E’ insomma la Lazio più forte di sempre.

Vince subito una Supercoppa Italiana, ma si tratta di un caso di fatto isolato. La valanga di successi ottenuti nel giro di pochi anni, conducono il ciclo biancoceleste a chiudersi paradossalmente prima di quanto fosse lecito aspettarsi. L’indigestione di trofei porterà un senso di appagamento che si rivelerà più forte di ogni cosa e quanto Peruzzi tornerà a vincere lo farà ma con un’’altra’ Lazio.

E’ il 2003 e l’epopea Cragnotti si è ormai chiusa e la società si riscopre travolta da problemi economici. Molti giocatori decidono di cambiare aria, lui invece si riduce l’ingaggio e resta. Avrebbe la possibilità di guadagnare di più in Inghilterra, l’Arsenal preme per averlo, ma ha trentaquattro anni ed ha già deciso che allontanarsi di nuovo da casa non ha senso e che quella della Lazio sarà l’ultima maglia che indosserà.

L’ultima straordinaria soddisfazione della sua carriera se la toglierà il 9 luglio 2006, quando aggiungerà alla sua collezione di trionfi il più importante di tutti: il titolo mondiale con la Nazionale Azzurra.

Angelo Peruzzi Italy 2006Getty

Lui, che a causa anche di infortuni, non aveva mai partecipato ad un Mondiale, al primo ed unico tentativo centrerà l’obiettivo. Farà parte dei ventitré di Lippi che verranno accolti nella ‘sua’ Roma come eroi nazionali, ma ha vissuto Germania 2006 da ‘vice’ e la cosa dà un sapore diverso a tutto.

“In cuor mio ho gioito, ma non ho vissuto quel Mondiale da protagonista - ammetterà a ‘Sport Uno’ - Il mio vero treno era quello del 1998, ma non partecipai ai quei Campionati del Mondo per un infortunio”.

Quando nel 2007 lascerà il calcio giocato dopo 620 partite e dopo essere stato eletto miglior portiere del campionato di Serie A, tra coloro che più di altri gli renderanno onore ci sarà Gigi Buffon, ovvero colui che ha realmente raccolto la sua eredità alla Juventus e che nel 2006 gli era davanti nelle gerarchie ai Mondiali.

“Si ritira una pietra miliare del calcio italiano - dice ai microfoni di ‘Sky’ - Una persona fantastica ed un portiere straordinario. Meritava di giocare un Mondiale da titolare ed è stato un peccato che non l’abbia fatto. Ogni tanto ho pensato che avere in panchina un portiere con le qualità umane e tecniche di Peruzzi fosse uno spreco”.

Le zero presenze totalizzate in un Campionato del Mondo non cambiano l’ordine delle cose, semmai rappresentano una beffa. Il bambino messo in porta dalla maestra delle elementari ha trovato in quei 7,32 metri che dividono un palo dall’altro lo spazio necessario per meritarsi un posto tra i grandi del calcio italiano. 

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