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Nicola Berti, il 'Cavallo Pazzo' nerazzurro: le vittorie, i goal nei Derby, la Nazionale e la dolce vita

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"Dopo una sconfitta in Coppa Italia, Franco Baresi mi fece il gesto delle tre dita; persi la testa, litigai con tutti. E in sala stampa dissi la famosa frase: 'Meglio sconfitto che milanista’”.
Nicola Berti

Si è sempre dichiarato un nemico giurato del Milan, non ha mai fatto nulla per nasconderlo e nei derby riusciva ad esaltarsi e a dare il meglio di sé. Nicola Berti ha incarnato da calciatore gli ideali dell'interismo, un po' come l'avvocato Peppino Prisco li incarnava da dirigente.

"Prisco era il numero uno - dirà spesso - ma io ero il numero due, e venivo subito dopo di lui".

Nato a Salsomaggiore Terme il 14 aprile 1967, inizia a giocare a calcio da giovanissimo nelle Giovanili del Parma, in cui emerge precocemente per i suoi importanti mezzi atletici: è alto un metro e 86 centimetri per 76 chilogrammi di peso forma, ha un fisico da granatiere, una corsa da mezzofondista e piedi da mezz’ala.

A 15 anni, nel 1982, è già nel giro della Prima squadra. A 16 anni, quando ancora milita negli Allievi gialloblù, debutta in trasferta contro la Triestina, in Serie C, lanciato da Bruno Mora, tecnico subentrato sulla panchina dei ducali al posto di Danova. È schierato in quell'occasione da attaccante, ruolo che ricoprirà più volte più in là nella sua carriera, pur essendo un centrocampista. Gioca anche alcune gare in Coppa Italia, poi nel 1984/85, a 17 anni, diventa titolare in Serie B.

"Quell'esperienza fu il trampolino di lancio per il mio trasferimento successivo a Firenze dove mi tolsi le mie prime grandi soddisfazioni. - ricorderà Berti a 'Tuttomercatoweb' nel 2006 - Ero ancora un signor Nessuno in maglia viola ed invece il calore della città e il mio primo allenatore, Aldo Agroppi, che puntò deciso su di me, mi fecero esplodere".

Nel 1985 Berti approda così in Serie A a 18 anni assieme ad un altro giovane talento, Roberto Baggio. A differenza di quello che diventerà negli anni a venire il fuoriclasse di Caldogno, frenato dai problemi fisici, grazie al suo nuovo allenatore e all'ambiente che crede in lui si afferma nonostante la giovane età anche nel massimo campionato come uno dei talenti emergenti del calcio italiano.

Si irrobustisce fisicamente e lanciato in contropiede sulla fascia destra è micidiale con le sue lunghe leve e la sua progressione. In 3 stagioni coglie un 4°, un 9° e un 8° posto in quello che all'epoca è il campionato più bello e più difficile campionato al Mondo, debuttando anche nelle Coppe Europee nell'ottobre del 1986 contro il Boavista.

Intanto la sua popolarità cresce anche fuori dal campo. Alto, fisico slanciato, sorriso sempre smagliante, sguardo furbo e capelli corti pettinati con la riga e il ciuffo laterale, o in alternativa a spazzola, come di moda all'epoca, diventa presto l'idolo delle ragazzine, che lo eleggono a loro calciatore preferito e a sex symbol. Inizia a concedersi libere uscite, gli piace la bella vita ma si allena con intensità e in campo si impegna a fondo.

In riva all'Arno Berti colleziona 96 presenze e 8 goal in tutte le competizioni. Abbastanza per diventare uno dei protagonisti dell'Italia Under 21 di Azeglio Vicini prima e Cesare Maldini poi (15 presenze e 3 reti dal 1985 al 1988) e per attirare su di sé, nel 1988, le attenzioni di una grande squadra, l'Inter di Giovanni Trapattoni, che decide di portarlo a Milano per 7 miliardi e mezzo di vecchie Lire.

Il tecnico di Cusano Milanino gli ritaglia un ruolo da interno destro di centrocampo (posizione che aveva già ricoperto nell'ultimo anno in viola con Sven-Goran Eriksson) con libertà di inserirsi e attaccare gli spazi e per il talento di Salsomaggiore nasce la stagione più importante della sua carriera. Berti è una freccia nell'arco dell'Inter, che domina il campionato di Serie A, con quello che passa alla storia come lo Scudetto dei record. Dà un apporto tangibile alla causa, collezionando 32 presenze e 7 reti.

Nicola Berti Inter UEFA Cup 1988-89Getty Images

Nella sfida Scudetto contro il Napoli, il 28 maggio 1989, dopo il vantaggio iniziale di Careca, è lui a propiziare il pareggio con un tiro al volo su cross di Diaz, che deviato da Fusi, si infila alle spalle del portiere Giuliani.

"È il mio primo anno in una grande squadra - dichiara a caldo ai microfoni dell'inviato della Rai, Giampiero Galeazzi - e vincere subito lo Scudetto penso che sia il massimo. È qui la festa!".

"Feci quel goal bellissimo e me lo prendo tutto, - dirà anni dopo a 'Corriere TV', sebbene nei tabellini non gli sarà assegnato per le regole dei tempi - all'epoca non li davano quando il tiro era deviato. Ricordo che negli ultimi 10 minuti andai a marcare apposta Maradona, e iniziò a sputarmi un po' addosso. Non mi pulivo neanche, me la sono proprio goduta. Poi andò in sala stampa e disse che solo Zenga, Bergomi e Matthäus meritavano lo Scudetto. Non fece mai il mio nome. Per alcuni anni contro di loro furono autentiche battaglie. Una volta mi fece persino spaventare, venni accerchiato al San Paolo dalle sue guardie del corpo. L'amicizia fra avversari all'epoca non esisteva".

Il goal che lo consegna all'eterna leggenda, però, Nicolino, come viene chiamato dai suoi tifosi, lo segna in Coppa UEFA mercoledì 23 novembre 1988. All'Olympiastadion di Monaco di Baviera si gioca l'andata degli ottavi di finale fra Bayern Monaco e Inter. I nerazzurri interpretano la partita nel modo giusto. Dopo aver resistito agli assalti dei tedeschi, passano in vantaggio al 60' con Serena, ma il capolavoro arriva al 71'. 

Berti intercetta un pallone sulla propria trequarti e parte a gran velocità in contropiede con la palla fra i piedi. Il numero 8 nerazzurro fa 70 metri in una fuga solitaria, superando uno a uno come birilli gli avversari che gli si pongono di fronte. Giunto davanti ad Aumann, lo trafigge con un tiro preciso: è il goal del 2-0, e il centrocampista trova ancora la forza di festeggiarlo sotto la curva dei propri tifosi. La sua galoppata resta per sempre scolpita nell'immaginario collettivo dei tifosi interisti. Quel risultato resterà però fine a se stesso, in quanto l'Inter poi lo vanificherà, perdendo 3-1 nella gara di ritorno di San Siro.

Trapattoni sa gestirlo al meglio, chiude un occhio sulle sue serate ma pretende e ottiene da lui il massimo impegno sul campo. Nei tre anni a Milano con lui alla guida vince anche una Supercoppa italiana nel 1990 e la Coppa UEFA 1990/91, segnando anche 4 goal, di cui due decisivi: uno nell'incredibile rimonta in casa contro l'Aston Villa nei sedicesimi di finale, l'altro nella finale di andata contro la Roma, gara in cui provoca anche il rigore dell'1-0.

"L'Inter mi faceva pedinare. - rivela a 'La Repubblica' nell'aprile 2020 - Avevo la fama di essere uno bizzarrino e vivace. Pagavano qualcuno per starmi sempre dietro. Poi in allenamento mi chiedevano: cosa ci facevi in quel locale l'altra sera? E la mia risposta era sempre la stessa: 'Se in campo corro, quel che faccio la sera sono fatti miei' ". 

Vicini lo porta in Nazionale maggiore, con cui debutta il 19 ottobre 1988 a Pescara contro la Norvegia (2-1 per gli Azzurri) e gioca i Mondiali di Italia '90 a 23 anni. Si ritaglia il suo spazio (4 presenze), vivendo dalla panchina l'amarezza del k.o. ai rigori in semifinale con l'Argentina di Maradona e andando in campo nella finale 3° posto con l'Inghilterra. 

"Quei Mondiali ce li ho ancora qua. - dirà in un'intervista a 'Libero' - Saltai il quarto di finale per squalifica ed ero sicuro di giocare contro l' Argentina. E invece niente".

Nicola BertiGetty

Nei suoi 10 anni in nerazzurro Berti vive stagioni memorabili ma anche momenti complicati con gli allenatori, come con Corrado Orrico, con la cui intransigenza entra subito in conflitto, e in alcune situazioni con Roy Hodgson.

"Quando ci trovammo agli inizi dell'attività, nell'estate 1991, questo qui aveva una pancia come la mia ora. - dirà Orrico a 'Sky Sport' - Lo pesai ed era 88-90 chili, un affare del genere. Lui mi disse che con Trapattoni giocava con quel peso lì. Benissimo, io gli risposi: 'Trapattoni è a Torino, o vai là o se vuoi star qui quando sei 86 chili giochi' ".

Berti è relegato inizialmente in panchina e alla fine interviene il presidente Pellegrini.

"Senta Orrico, le voglio fare una confidenza che non è un tentativo di condizionarla. Per acquistare Nicolino dalla Fiorentina io ho fatto l'ipoteca sulla casa, volevo che fosse informato" 

"Io dissi che se non andava giù di peso non avrebbe giocato... - ricorda Orrico - poi andò giù di peso e dalla seconda giocò sempre. Era un personaggio simpatico e divertente".

Presto anche gli allenatori che ritrova in nerazzurro si accorgono che Berti è così, prendere o lasciare. Lo imparano a conoscere bene i rivali del Milan, per lui autentici 'nemici sportivi'.

"La Juve in Italia non è mai stata simpatica a nessuno, tranne che agli juventini. - affermerà a 'La Repubblica' - Ma il Milan contro cui giocavo io era così forte che non potevi non sentire la contrapposizione. Il Milan di Sacchi era una squadra di giganti. Anche solo a  vederli apparivano arroganti, facevano paura".

"Oggi sono tutti amici, ma una volta il derby era molto sentito! Era una 'guerra', ci si dava dentro fino alla morte e ci si insultava, oggi si entra in campo mano nella mano. Nel Derby, ripeto, ci devi mettere il cuore, il sangue...tutto! Con Maldini abbiamo condiviso tanti anni in Nazionale e all'epoca frequentavamo lo stesso locale a Milano. Ma quando io vedevo che c'era lui non entravo, e lo stesso faceva anche lui. C'era molta rivalità, siamo anche rimasti due anni senza parlarci".

Non mancano anche in questo caso gli episodi gogliardici, tipici del personaggio.

"Prima dei derby facevamo riscaldamento in una piccola palestra all’interno dello stadio, tutti insieme. - ricorderà - Appena uno di loro si girava non resistevo, partiva la pallonata".

Diventato idolo della Curva nerazzurra, che gli grida: 'Nicola Berti facci un goal', proprio nei derby Berti segna due goal storici. Il primo il 18 novembre 1990, vinto 1-0 e deciso da una sua zampata a 5 minuti dalla fine. Il secondo, che poteva essere ancora più importante, il 10 aprile 1993. 

Il Milan è lanciato verso l'ennesimo Scudetto, ma i nerazzurri di Bagnoli si stanno rifacendo sotto e passano in vantaggio nella stracittadina al 44'. Nicola, che i tifosi chiamano 'Cavallo pazzo', si invola sulla fascia destra, dribbla Maldini e scherza Costacurta con un tunnel prima di venire messo giù da quest'ultimo. Rialzatosi, fa segno di no con il dito indice e aggiunge qualche parolina poco simpatica. Pairetto lo ammonisce per proteste.

Sul pallone si porta lesto Ruben Sosa, che approfittando del caos, crossa al centro dell'area, dove intanto si è portato proprio Berti, che colpisce forte di testa: il pallone picchia sulla traversa, rimbalza su Sebastiano Rossi e si infila in rete. La vittoria potrebbe rilanciare le ambizioni di titolo dei nerazzurri, ma un goal di Gullit fisserà poi il punteggio sull'1-1. 

Nicola Berti Inter Serie A 10301994Getty Images

Gli ultimi anni dell'avventura di Berti in nerazzurro sono caratterizzati anche dai gravi infortuni. Il primo lo patisce nel settembre del 1993, quando si rompe il legamento crociato del ginocchio destro in Inter-Cremonese. Torna in campo a tempo di record dopo soli 4 mesi e mezzo di stop, e giocando nuovamente da attaccante, con i suoi goal nel finale di stagione salva i nerazzurri, finiti inaspettatamente ai margini della zona retrocessione

"Io mi sono rotto il legamento e ho detto: bene, questa è una cosa che voglio affrontare. - racconterà - L’ho preso di petto. Mi sono messo su un aereo, sono volato negli Stati Uniti, a Vail, in Colorado. Il dottor Steadman mi ha accolto nella sua clinica costruita direttamente sulle piste da sci. Non ho avuto nemmeno il tempo di pensare, dopo 4 mesi e mezzo già correvo. Io l’infortunio me lo sono mangiato".

"Avevo lasciato l’Inter l’8 settembre 1993 da prima in classifica, l’ho ritrovata, mai successo prima, in lotta per la salvezza. Chiedete ancora adesso a Gianpiero Marini, cosa ne pensa, del mio ritorno. Sì, sono stato decisivo. Rientro con il Lecce, aprile, sempre l’8, e segno il 4-1, in tuffo, di testa: l’Inter non vinceva da una vita. Avevo le gambe un po’ imballate e infatti salto l’andata della semifinale di Coppa Uefa contro il Cagliari: perdiamo 3-2. Al ritorno gioco, a San Siro. Domino: procuro il rigore del vantaggio, segno il 2-0, vinciamo 3-0 e voliamo in finale.Tutto nonostante la marcatura a uomo, asfissiante, di Marco Sanna. Berti era tornato. Sì, ero tornato e con me era tornata l’Inter. Fa specie dirlo, ma ci siamo salvati, anche grazie a un altro mio goal, contro la Roma. Pensate la genialità: Mai stati in B, grazie a Nicola Berti!". 

Nicola Berti Italy World Cup 1994Getty Images

Nick regala ai milanesi anche la seconda Coppa UEFA, risultando decisivo anche nella finale di andata di Vienna contro il Salisburgo, in cui trova ancora il goal. Sacchi lo premia richiamandolo in Nazionale, unico giocatore dell'Inter, per giocare il suo secondo Mondiale negli Stati Uniti. Gioca tutte le gare da titolare, sacrificandosi nel ruolo di ala a destra o a sinistra, dove lo riporta il Profeta di Fusignano, che ormai non interpretava da tempo.

"Sacchi mi faceva giocare fuori ruolo perché Signori non voleva fare la fascia e a me andava benissimo. - dichiarerà - In Nazionale devi essere a disposizione anche per fare il portiere, se serve. Quelli che fanno i capricci sono dei cretini e ce ne sono tanti".

Anche sull'avventura negli Stati Uniti non mancano gli aneddoti.

"Ero in camera con Franco Baresi, fumavo dei cubani lunghi così (allarga le mani, ndr) e lui zitto, perché così lo facevo uscire con me. Avevamo un accordo, una cosa come: 'io fumo quanto voglio, se non dici niente ti porto fuori' ".

Con i Mondiali americani si conclude anche l'avventura del giocatore nerazzurro in Nazionale, dopo 39 presenze e 3 goal.

Un secondo grave infortunio lo ha nel febbraio del 1996 e se lo procura da solo in allenamento: una lesione al legamento crociato anteriore e al menisco laterale del ginocchio sinistro che lo tiene a lungo lontano dai campi.

Torna e fa in tempo ad allenarsi assieme a Ronaldo.

"Quando faceva i suoi numeri in campo ed io ero in panchina - dirà - davo delle testate pazzesche per applaudirlo".

"Con Ronnie ho fatto serata - rivelerà ad Alessandro Cattelan - finalmente la sera c’era uno peggio di me. Chiaramente veniva poi votato come miglior giocatore, io ogni volta ho dovuto aiutarlo a salire i gradini (ride, ndr)”.

Nicola Berti TottenhamGetty

La sua storia d'amore con l'Inter si chiude nel gennaio del 1998. L'Inter perde il duello con la Juventus e vince la Coppa UEFA, ma lui saluta in anticipo la squadra della sua vita trasferendosi al Tottenham a gennaio.

"Klinsmann mi ha contattato nel Natale del 1997, - racconterà a 'La Gazzetta dello Sport' - non potevo più restare all’Inter. Mi disse: 'Vieni qui da me… In Inghilterra è stata una grande esperienza di calcio e di vita. Ho imparato l'inglese e mi sono risentito un calciatore".

Berti resta a Londra un anno e colleziona in tutto 21 presenze e 3 goal con gli Spurs.

"Nei primi sei mesi con goal e assist, ho contribuito alla salvezza. Ho conquistato tutti con il sorriso ed eravamo una bella squadra, unita: oltre a Klinsmann, sento ancora Ginola con cui ogni tanto mi faccio delle grandi risate a Saint-Tropez. E poi ricordo Les Ferdinand, il danese Nielsen, Anderton in mezzo e, soprattutto, Sol Campbell: lo consigliai all’Inter, ci fu un sondaggio, ma niente: peccato...". 

Gli vengono attribuiti flirt con tante donne, ma lui smentisce quelli con Uma Thurman e Carla Bruni.

"La verità è che era una mia amica e veniva con me allo Stadio a vedere l'Inter. La Bruni? No, ci hanno soltanto fotografato insieme ad una sfilata".

Chiude la sua carriera giocando ancora con l'Alavés in Spagna (8 presenze e un goal) e il Northern Spirit in Australia. Poi scompare dalle scene.

"Appena ho smesso sono andato cinque anni ai Caraibi, - racconterà - ho staccato la spina e dopo un po' l'ho riattaccata. Oggi ho trovato la serenità a Piacenza con mia moglie e i miei due figli".

I tifosi dell'Inter, con cui ha realizzato 41 goal totali in 312 presenze, lo ricorderanno sempre come un simbolo dell'interismo, con quella sua aria scanzonata e sorridente, perdonandogli anche il suo amore per le feste e la bella vita.

"Io un farfallone? Forse lo ero, o forse neanche quello. - commenta ai microfoni de 'La Repubblica' - Spesso le persone non sono come appaiono. Al contrario di Conte, io sono molto più serio di come appaio".

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