Si è dibattuto a lungo sull’effettivo effettivo valore e sulla portata della scuola brasiliana di portieri e dell’impatto che i suoi principali protagonisti hanno avuto quando si sono ritrovati a fare i conti con i palcoscenici più prestigiosi. Il tutto è stato spesso accompagnato dal luogo comune piuttosto in voga secondo il quale il Brasile ha sì sfornato giocatori di lignaggio assoluto ma con una maggiore propensione per altre zone del campo. Nella storia più o meno recente del calcio europeo, però, ci sono stati – e ci sono tutt’ora - esponenti della classe verdeoro che, guantoni alle mani, hanno smontato questo preconcetto a suon di prestazioni.
Lo ha fatto Taffarel, lo stanno facendo Alisson e Ederson. Ma è il campionato italiano che, nel pieno degli anni 2000, ha potuto vantare sui propri palcoscenici quello che per un certo periodo di tempo era riconosciuto da molti come il portiere più forte del mondo. Il suo nome è Nelson de Jesus Silva ma ben presto lo si imparerà a conoscere semplicemente come Dida.
La traccia calcistica del portiere di Irarà sboccia ovviamente in patria: i primi passi al Vitoria prima del passaggio al Cruzeiro dove, nel giro di quattro anni, vincerà quattro volte il Campionato Mineiro e la Coppa Libertadores. A cambiare la sua carriera, però, è la sessione invernale di mercato del 1999. Il suo desiderio di misurarsi con il calcio europeo viene puntualmente esaudito e a bussare alla porta non c’è una pretendente qualunque bensì il Milan che pochi mesi dopo vincerà il suo sedicesimo Scudetto. Il passaggio in rossonero matura quando il portiere verdeoro è in scadenza di contratto con 'La Raposa', il che consente ad Adriano Galliani di assicurarselo scucendo una cifra che sfiora i tre milioni di euro. Un regalo, verrebbe da dire, visti gli sviluppi futuri.
La firma con i rossoneri diviene realtà ma l’ingresso nel Vecchio Continente non avviene dalla porta principale. Prima un fugace prestito al Lugano dove non vede mai il campo, poi un temporaneo ritorno in Brasile al Corinthians dove si toglie lo sfizio di vincere la prima edizione del Mondiale per Club parando un rigore in finale contro il Vasco da Gama e alimentando una già chiacchierata fama di specialista sui tiri dagli undici metri. Morale della favola, bisogna aspettare l’imbocco della stagione 2000-2001 per vederlo finalmente protagonista a difesa della porta milanista.
Il primo impatto con il ‘Diavolo’, però, si rivela un flop. Quello che agli occhi dei brasiliani sembrava essere il portiere destinato ad imprimere un segno negli anni a venire, lascia invece spazio ad un interprete incerto e decisamente incline all’errore. Dopo aver debuttato in Champions nel rotondo successo per 4-1 contro il Besiktas, la prima assoluta in Serie A va decisamente peggio: è l’1 novembre 2000 e il Milan cade 2-0 a Parma battezzato per due volte da Patrick Mboma. Quella sarà la sua unica apparizione in massima serie nel corso di una stagione avara di soddisfazioni per la truppa allenata da Alberto Zaccheroni.
Continuerà a scendere in campo sfruttando la vetrina della Champions League ma macchiando la sua prima annata in rossonero con la notte da incubo contro il Leeds. A Elland Road si gioca sotto il diluvio e a un minuto dal 90’ le due squadre sono inchiodate sullo 0-0. Conquistata palla sui venticinque metri, Lee Bowyer lascia partire un tiro apparentemente innocuo sul quale Dida interviene ma la sfera gli sfugge dai guanti, carambola sul suo corpo e finisce incredibilmente in rete. Finisce 1-0 per gli inglesi a attorno a Dida aleggia già un forte sentore di titoli di coda.
Il Milan lo rispedisce prontamente in Brasile dove ad accoglierlo c’è di nuovo il Corinthians che lo preleva in prestito per tutta la stagione 2001-2002 che culminerà nel Mondiale nippocoreano vinto dal Brasile, dove Dida solleverà il trofeo senza mai scendere in campo in quanto convocato come riserva del titolarissimo Marcos. Dopo la rassegna mondiale rientra in pianta stabile in quel di Milano, anche in questo caso con il ruolo di vice alle spalle di Abbiati.
L’infortunio del portiere italiano durante il preliminare di Champions contro lo Slovan Liberec, però, gli offre una chance di redenzione a tinte rossonere. Tra le mani si ritrova una nuova occasione per riscrivere il copione della sua avventura italiana e questa volta la presa si rivela d'acciaio. Subentrato ad Abbiati, Dida si prende i gradi di titolare e non li mollerà più, nemmeno quando il portiere di Abbiategrasso tornerà a disposizione. Dalla prima di campionato contro l’Udinese sino alla finalissima di Champions League che mette il Milan di fronte alla Juventus dove spicca la presenza di Gianluigi Buffon, riconosciuto dai più come il miglior portiere in circolazione.
Getty ImagesLa partita scivola via senza sussulti e lo 0-0 resiste anche dopo i tempi supplementari. La coppa più importante si assegna ai calci di rigore. Buffon ne para due, Dida ne neutralizza tre stoppando nell’ordine Trezeguet, Zalayeta e Montero rispolverando quell’ingombrante etichetta di para rigori che si portava appresso dal Brasile. E’ la notte della consacrazione. Dopo ogni rigore parato si dimostra imperturbabile, non si scompone alza l’indice al cielo e attende la battuta successiva prima di esplodere di gioia abbracciando Shevchenko dopo il penalty decisivo che spinge il Milan sul tetto d’Europa. La notte dell’Old Trafford è lo spartiacque della sua carriera: da quel momento il numero 12 rossonero continua a parlare molto poco ma in compenso para tanto e vince praticamente tutto.
“Abbiamo parlato per circa cinque minuti, dove io gli diedi il mio punto di vista su come si sarebbe dovuto comportare. Gli dissi di non muoversi troppo in anticipo per poter leggere con più chiarezza la traiettoria dei tiri dei giocatori della Juventus. Poi lui era uno molto freddo e razionale, che sapeva ascoltare. Non l’ho mai visto in difficoltà negli attimi prima dei rigori”. Il racconto dell’allenatore dei portieri Villiam Vecchi a ‘MilanNews’.
L’anno successivo (2003-04) vive un’altra annata strepitosa toccando probabilmente il punto più alto del suo percorso: vince il suo unico Scudetto e diventa il primo straniero ad essere nominato miglior portiere della Serie A. Il suo è uno stile particolare e per certi versi unico, non sempre eccelso nei fondamentali e spesso soggetto a difficoltà in circostanze apparentemente gestibili, ma in compenso è un prodigio in termini di istinto e reattività esaltandosi negli interventi ad alto coefficiente di difficoltà: memorabili in quell’annata saranno la parata in controtempo su Hartson del Celtic e soprattutto il riflesso felino su Van der Vaart durante Milan-Ajax. In quella stagione Dida offre ai compagni, e soprattutto agli avversari, la sensazione di avere di fronte un muro insormontabile. Non per tutti, ma sicuramente secondo molti, tra il 2002 e il 2005 il Milan ha avuto il privilegio di schierare tra i pali il miglior portiere del mondo. Nel giro di diciotto mesi il Diavolo e il suo fenomeno brasiliano vincono praticamente tutto in Italia e in Europa.
“Il più forte portiere del mondo” la sentenza di Kakà riportata da ‘Repubblica’, “Non so più cosa dire, ho finito gli elogi” gli fa eco l’ex AD rossonero Adriano Galliani.
La sua è una carriera che vive di snodi cruciali. Lo è stato l’errore di Leeds, lo è stata l’eroica notte di Manchester ed è destinato ad esserlo anche la serata del 12 aprile 2005. A San Siro si gioca si gioca un sentitissimo Derby di Champions contro l’Inter. In palio c’è la semifinale. Dopo il 2-0 dell’andata griffato da Shevchenko e Stam, l’attaccante ucraino sblocca anche la gara di ritorno e a questo punto all’Inter servono quattro goal per realizzare un’impresa praticamente impossibile. Per il tifo interista l’umiliazione è insostenibile.
Getty ImagesDagli spalti inizia a piovere di tutto e la partita viene momentaneamente sospesa. Ad avere la peggio è proprio Dida che viene colpito alla spalla da un petardo. Il brasiliano se la caverà soltanto con una leggera ustione e un forte spavento ma negli anni a venire quell’episodio verrà indicato come il prologo della sua parabola discendente. Alla ripresa delle ostilità l’estremo difensore verdeoro non è in campo, sostituito da Abbiati. La partita si conclude senza ulteriori colpi di scena ma nei giorni successivi verrà omologato lo 0-3 a tavolino in favore dei rossoneri che viaggeranno spediti verso l’amara finale di Istanbul persa contro il Liverpool, ma riscattata due anni dopo sempre contro i Reds ad Atene dove ‘Baghera’ - il suo soprannome in quel di Milano - infilerà in bacheca la seconda Coppa dei Campioni nel giro di cinque anni.
A protezione dei pali rossoneri vi rimarrà per altre tre stagioni sino all'estate del 2010, scandendo le ultime tappe del suo tragitto milanese con un andamento a corrente alternata, balzando senza criterio tra prodigi, errori e topiche clamorose - su tutte la sceneggiata di Glasgow dove stramazza al suolo dopo un leggerissmo 'buffetto' ricevuto da un tifoso del Celtic e che gli costerà un turno di squalifica - oltre ad una sequela piuttosto nutrita di infortuni, tra cui quello grottesco di Parma dove si fa male alla schiena mentre si trova in panchina finendo poi ai box per un mese. Episodi che mineranno le sue ultime uscite all'ombra della Madonnina. Lascerà Milano dopo 302 partite e 8 trofei tra cui 2 Champions, uno Scudetto e un Mondiale per Club, diventando l'unico portiere a salire sul tetto del mondo per tre volte, sia con la Nazionale che con i club, laureandosi campione con Corinthians, Brasile e, appunto, Milan.
Il bilancio finale dei suoi nove anni in rossonero non può che essere positivo e lo spinge di diritto tra i migliori esponenti del ruolo passati dalle parti di Milanello. E pensare che uno dei sodalizi più belli e vincenti dell'epoca moderna era iniziato con l'assurdo e inspiegabile errore di Leeds che sembrava ormai destinato a sentenziarne le gesta:
"Ha doti eccezionali, diamogli fiducia e vedrai". Confidò Villiam Vecchi ad Ancelotti.
Una previsione felicemente azzeccata.