"Puoi anche vincere due Scudetti e due Coppe dei Campioni ma poi che cosa ti rimane? Il tuo nome sugli almanacchi... Meglio essere ricordato come uno che non ha mai tradito Firenze e la Fiorentina". - Giancarlo Antognoni, 'Il Corriere della Sera' (2011).
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La sua carriera da calciatore lo ha visto indossare principalmente due maglie: quella viola della Fiorentina, che è diventata una sua seconda pelle, e per la quale ha rinunciato a ingaggi importanti e possibilità di successi con altre squadre, e quella azzurra della Nazionale, con cui ha vinto i campionati del Mondo del 1982.
Giancarlo Antognoni è stato un grande numero 10. Centrocampista dotato di una classe e di un'eleganza smisurata, aveva nella visione di gioco la sua qualità in assoluto più importante. Si muoveva per il campo con una corsa leggera, la palla fra i piedi e la testa sempre alta, come gli avevano insegnato i suoi maestri. Per i suoi avversari era molto difficile capire quale giocata avrebbe fatto.
Sapeva pescare i compagni per il campo con lanci lunghi e calibrati, e attaccare la porta con accelerazioni improvvise e conclusioni potenti e precise, che lo rendevano uno specialista dei calci piazzati.
Nel suo percorso calcistico ha conosciuto momenti esaltanti e momenti molto difficili, con gravi infortuni e un'incidente che ha rischiato di fargli perdere tragicamente la vita. Ma il simbolo del club toscano e della fiorentinità ha saputo saltare in dribbling anche la sfortuna e le insidie tese dalla vita, ritagliandosi dopo il ritiro un'importante ruolo dirigenziale nella società gigliata.
LA FIORENTINA: UN AMORE SMISURATO
Nato a Marsciano, cittadina in provincia di Perugia, il 1° aprile 1954, Giancarlo Antognoni inizia a giocare a calcio nelle Giovanili della San Marco Juventus. Passato poi a 15 anni nel Settore giovanile del Torino, in granata gioca di fatto soltanto un'amichevole, per poi essere ceduto all'Asti MaCoBi, in Serie D. Ci resta due stagioni, debuttando con i grandi e totalizzando 27 presenze e 4 goal in 2 stagioni.
"Sono stato un calciatore dotato, molto dotato. - ammette a 'Il Corriere della Sera' - Diciamo un Rivera che correva. Gianni era il mio idolo. Io sono nato milanista. A Perugia mio papà gestiva un bar che era anche la sede di un Milan Club. Avevo 9 anni e la prima partita di Serie A che ho visto è stata un Bologna-Milan. Vinsero i rossoneri per 2-1. Da ragazzino sognavo sempre di giocare nel Milan".
Le cose per Antognoni andranno invece molto diversamente da come lui aveva immaginato. Nell'estate 1972, infatti, il presidente della Fiorentina, Ugolino Ugolini, lo porta in Toscana, sborsando 435 milioni di Lire, cifra ragguardevole per l'epoca.
"Con il Toro giocai soltanto un' amichevole un giovedì. Allenatore era il sardo che portava il colbacco, Gustavo Giagnoni... Poi mi volle la Fiorentina e Liedholm mi fece esordire nel '72".
Il debutto in Serie A è indimenticabile e avviene a soli 18 anni il 15 ottobre 1972: al Bentegodi i toscani superano 2-1 il Verona e Antognoni scende in campo con la casacca numero 8, in un'epoca in cui le divise personalizzate erano impensabili.
Il giorno dopo il giornalista di 'Tuttosport', Vladimiro Caminiti, rimasto colpito dalla classe e dalla personalità del giovane centrocampista viola, conia per lui una bella definizione, che lo caratterizzerà per sempre: "l'uomo che gioca guardando le stelle", per quella sua tendenza a tenere sempre il capo e lo sguardo rivolto verso l'alto, come solo i grandi giocatori sanno fare.
Antognoni è acquistato in quella stagione assieme ad una nidiata di giovani calciatori di belle speranze: con lui arrivano infatti in viola elementi come Mimmo Caso, Moreno Roggi, Vincenzo Guerini e Claudio Desolati, giocatori che faranno le fortune della Fiorentina. 'Il Barone', colui che in carriera era stato un grande numero 10, è il primo ad accorgersi veramente delle qualità e potenzialità di quel giovane centrocampista umbro.
A Firenze Antognoni resta per ben 15 anni, rifiutando proposte di ingaggi allettanti e la possibilità di vittorie importanti che potevano arrivare se si fosse tolto di dosso quella maglia. Invece Giancarlo resta per diventare presto un leader tecnico della squadra, che, sotto la guida di Mario Mazzoni, vince nel 1974/75 la Coppa Italia, battendo 3-2 il Milan di Giagnoni (ancora lui) in una combattuta finale.
WikipediaSempre nel 1975 la Fiorentina vince anche la Coppa di Lega italo-inglese, superando 1-0 a Londra con goal di Speggiorin il temibile West Ham. Resteranno quelli gli unici trofeo nella sua lunga permanenza con i toscani. Il numero 10 Conoscerà invece diversi allenatori, da Rocco ad Aldo Agroppi,
"A Firenze ho avuto come allenatore anche 'El Paròn Rocco'. - ricorda - Grande simpatia, ci faceva ridere con le sue battute. Veniva dal Milan, si vedeva che era un uomo esperto. Aldo Agroppi, invece, era un tipo particolare, un po' naif. Non sopportava l' orecchino di Baggio. Figuriamoci come si troverebbe nel calcio di oggi con tutti quei tatuaggi in circolazione...".
A metà anni Settanta, durante il triennio fiorentino di Carlo Mazzone, eredita da Ennio Pellegrini la fascia da capitano, e la terrà sul suo braccio destro fino alla metà del decennio successivo. Negli anni Ottanta del secolo scorso, l'arrivo alla proprietà dei Conti Pontello (Flavio e Ranieri), disposti ad investire importanti capitali nel calcio, riporterà la Viola a lottare per importanti traguardi. Proprio sotto la gestione di Agroppi, Antognoni sfiora quello che sarebbe potuto essere uno storico Scudetto nel 1981/82 e che sfumerà all'ultima giornata.
"Quel campionato perduto - affermerà nel 2011 ai microfoni de 'Il Corriere della Sera' - grida ancora vendetta. Arrivammo a un punto dalla Juve: all'ultima giornata a Cagliari ci annullarono un goal regolare di Graziani mentre la Juve vinse a Catanzaro con un rigore, che per carità, c' era... Forse non doveva finire con uno spareggio perché c'era il Mondiale che incombeva e in Nazionale eravamo in cinque della Fiorentina e in sette-otto della Juve".
La sua carriera a Firenze lo vedrà indossare la maglia viola per 341 volte in campionato con 61 goal realizzati, mentre in totale il suo apporto alla causa dei gigliati sale a 429 gare con 72 reti. Non mancano i tentativi di strapparlo ai toscani da parte delle big.
"Sono stato vicino ad altri club un paio di volte. Nel '78, dopo il Mondiale in Argentina, fui chiamato dal presidente Melloni. Mi disse che mi voleva la Juventus. Però non se ne fece niente per paura della reazione dei tifosi. Nel 1980, invece, andai io a Roma dal presidente Dino Viola. Invitò a cena me e mia moglie, mi avrebbe dato piazza di Spagna... L'allenatore della Roma era Liedholm: voleva Antognoni e Baresi. Solo Antognoni e Baresi. Alla fine però decisi di rimanere in viola".
Dopo aver sfiorato lo Scudetto, gli anni Ottanta con la maglia viola sono caratterizzati per Antognoni da alcuni gravi incidenti di gioco, che ne comprometteranno l'integrità fisica. In uno di questi, il terribile scontro con il portiere del Genoa, Silvano Martina, il capitano viola rischia addirittura di perdere la vita.
GettyL'INCIDENTE CON MARTINA, GLI INFORTUNI E GLI ULTIMI ANNI
È il 22 novembre 1981. Al Comunale si gioca Fiorentina-Genoa, gara valida per la 9ª giornata del campionato di Serie A. I toscani sono quarti in classifica a 3 punti dalla Roma capolista, mentre i liguri si trovano a centro graduatoria con 8. Gorin pareggia il vantaggio iniziale dei padroni di casa con l'argentino Bertoni, ma al 52' un calcio di rigore trasformato con la proverbiale freddezza dal capitano porta il punteggio sul 2-1 in favore dei viola.
Al 55' Antognoni è lanciato in contropiede e a gran velocità si proietta in area per raggiungere la palla: ci arriva ma, mentre si accinge a calciare in porta, il portiere ospite Martina si avventa su di lui con la gamba sollevata. L'estremo difensore rossoblù sopraggiunge in volo e il suo ginocchio destro colpisce in pieno la testa del capitano viola.
L'urto è tremendo. Antognoni crolla esanime sul terreno di gioco. Per alcuni concitati attimi tutti hanno il terrore che possa verificarsi una tragedia. Il cuore del numero 10 resta fermo per 25 lunghi secondi, poi, fortunatamente, un massaggio cardiaco riesce a farlo ripartire. Il centrocampista si riprende e viene trasportato d'urgenza in ospedale, dove gli viene riscontrata una doppia frattura alla regione parietale sinistra.
Il giorno seguente il capitano viola è sottoposto a un delicato intervento chirurgico per la rimozione dell'ematoma causato dal forte colpo e per la ricomposizione della parte. Tutto, fortunatamente, si risolve al meglio per il centrocampista, che può tornare in campo dopo 4 mesi il 21 marzo 1982 contro il Cesena, giusto in tempo per dare un contributo fondamentale a quella che sarà la magica cavalcata mondiale della Nazionale di Bearzot.
Il suo avversario, Martina, si proclama innocente, affermando che lo scontro era involontario, ma la Procura della Repubblica di Firenze apre comunque un'inchiesta per lesioni volontarie (dolo indiretto). In tribunale, tuttavia, sarà lo stesso Antognoni, calciatore esemplare nella sua carriera per la sua sportività, a scagionare l'estremo difensore avversario, con la vicenda che si chiude con un non luogo a procedere.
Ma lo scontro con il numero 1 del Genoa non è l'unico grave incidente della carriera di Antognoni. Il 12 febbraio 1984 al Comunale si gioca Fiorentina-Sampdoria. I toscani, guidati in panchina da De Sisti, sognano di prendersi quello Scudetto che era sfumato due stagioni prima. Passano in vantaggio con il capitano, ma proprio quest'ultimo al 49' fa nuovamente ammutolire i tanti tifosi sugli spalti.
Il numero 10 finisce infatti a terra dopo una durissima entrata del difensore blucerchiato Luca Pellegrini. Si ha subito la sensazione che si tratti di qualcosa di grave, e gli esami strumentali confermeranno la prima impressione: frattura scomposta di tibia e perone.
Un infortunio molto grave, che avrebbe potuto porre fine, a soli 30 anni, alla brillante carriera di qualunque giocatore. Non del centrocampista perugino, che con la consueta tenacia, dopo aver salto il resto della stagione, torna in campo il 24 novembre 1985 nel pareggio esterno contro il Bari. Iniziano alcuni dissapori con gli allenatori (Agroppi) e la famiglia Pontello.
"Ho sempre creduto nella buona fede dei miei avversari. - ribadirà anni dopo - Comunque in entrambi i casi è stata dura. Forse se avessi avuto i parastinchi avrei salvato almeno la gamba".
Antognoni resta comunque in squadra un'altra stagione, nel 1986/87, conducendo la Fiorentina ad una salvezza non semplice assieme all'attaccante argentino Ramón Díaz. Il 10 maggio 1987 fa in tempo a 'battezzare' l'esordio in Serie A di Roberto Baggio al San Paolo contro il Napoli. Sarà proprio il fuoriclasse di Caldogno a prenderne la maglia e l'eredità, quando nell'estate successiva il capitano lascia la squadra di una vita per giocare altri due anni con il Losanna in Svizzera.
Il 25 aprile 1989, a 35 anni compiuti, dà l'addio al calcio giocato con una partita al Comunale, gremito per l'occasione di 40 mila tifosi (l'impianto è oggetto di ristrutturazione per gli imminenti Mondiali del 1990): l'Italia campione del Mondo del 1982 torna in campo per sfidare il Resto del Mondo. Finisce 4-2 per l'Italia, con Antognoni in goal dal dischetto e il suo primo figlio, Alessandro, a battere il calcio d'inizio.
Dopo il fischio finale il campione fa un ultimo giro di campo per salutare tutti i tifosi che continueranno ad amarlo anche dopo il suo ritiro.
Getty ImagesCAMPIONE DEL MONDO IN NAZIONALE
Oltre alla maglia viola, l'avventura calcistica di Giancarlo Antognoni è legata alla maglia dell'Italia, con cui 'l'uomo che gioca guardando le stelle' ha disputato due Mondiali e un Europeo, vincendo quelli del 1982 in Spagna, piazzandosi al 4° posto nel 1978 in Argentina e nel torneo continentale giocatosi in Italia nel 1980.
Il Ct. Enzo Bearzot gli ritaglia un ruolo di primo piano da regista offensivo nella sua Nazionale e il numero 10 gioca ad altissimi livelli. In Spagna, dove indossa la divisa numero 9, è grande protagonista nella seconda fase nelle gare con Argentina e Brasile che segnano la svolta nel cammino degli Azzurri.
Particolarmente importante è la prestazione contro la Seleçao di Telé Santana, con il goal del possibile 4-2 per l'Italia, assolutamente valido, che gli viene ingiustamente annullato dall'arbitro per un fuorigioco inesistente. La sfortuna attende Giancarlo anche in semifinale: contro la Polonia, infatti, un fallo di Matysik lo mette fuori causa e lo costringe a saltare la finalissima con la Germania Ovest.
"A parte quella partita di Cagliari che ci costò lo Scudetto, - dirà al 'Corriere dela Sera' - la delusione più grande della mia carriera è stata la finale del Mundial spagnolo che non mi fu possibile giocare per squalifica. Quella volta mi girarono parecchio le scatole. Vidi Italia-Germania dalla tribuna stampa".
Nessuno potrà mai togliergli però la medaglia d'oro ricevuta per il trionfo Mondiale, la gioia per essersi laureato campione del Mondo con la Nazionale, trionfo che rappresenterà il punto più alto della sua carriera calcistica, e le 73 presenze e 7 reti con cui saluta la maglia azzurra il 16 novembre 1983 al termine delle infauste qualificazioni ad Euro '84.
Getty ImagesDIRIGENTE E SIMBOLO DEL CLUB VIOLA
Chiusa la carriera calcistica, Antognoni non resterà per molto tempo lontano dalla sua Fiorentina. Durante la gestione di Cecchi Gori, infatti, torna nel club come dirigente, portando giocatori del calibro di Manuel Rui Costa, Francesco Toldo, Stefan Effenberg e Brian Laudrup.
"Dal 1990 al 2001 ho fatto un po' di tutto. - racconterà - Osservatore, team manager e Direttore generale. Il fiore all' occhiello della mia gestione resta comunque Rui Costa. Lo acquistammo per 7 milioni di dollari dal Benfica".
Nel 2001, dopo l'addio di Terim, lascia anche lui la società.
"Ero molto legato all'allenatore, - spiegherà - quando apparve chiaro che lui sarebbe andato ad allenare il Milan dissi a Vittorio Cecchi Gori: 'Se va via Terim vado via anch'io... Mi rispose: 'prego...' L' unica società con cui ho parlato dopo aver lasciato la Fiorentina è stato il Milan. Galliani fu molto gentile ma non se ne fece niente".
Poco male, perché ad accogliere il campione umbro c'è la Federazione, per cui dal 1° ottobre 2005 lavora come Coordinatore degli osservatori delle Nazionali giovanili e successivamente, dal 6 agosto 2015, come Capo delegazione dell'Italia Under 21.
-Nel 2017, scaduto il contratto con la FIGC, torna un'altra volta alla sua Fiorentina, prima con compiti di rappresentanza, dal successivo mese di giugno come Club manager, incarico che ricopre ancora oggi. il 1° aprile 2014, per il suo 60° compleanno, tutta la città di Firenze gli tributa grandi festeggiamenti e onori, e all'eterno capitano viola sono consegnate anche le chiavi della città, mentre la Curva Fiesole lo omaggia con una bella coreografia a lui dedicata durante la gara contro la Juventus. Nel luglio 2021 è arrivato un addio turbolento dopo delle discussioni con la presidenza di Commisso.
Nella vita privata è sposato dal 1977 con la romana Rita Monosilio, che gli ha dato due figli, Alessandro e Rubinia. Nel 2018 la FIGC ha inserito il suo nome nella Hall of Fame del calcio italiano. Ancora oggi, per il tanto amore dimostrato per i colori viola, riceve tutti i giorni l'affetto dei tifosi della Fiorentina e la stima di tutti gli appassionati per la sua carriera e il suo stile dentro e fuori dal campo.