Lucas Paquetà OLGetty

L'incompreso Paquetá, diventato "la tigre di Lione" dopo il flop al Milan

“Paquetà ha qualche difficoltà per le posizioni in campo: è un giocatore con caratteristiche particolari, vediamo cosa ci dirà il mercato”: è il 18 settembre 2020 e l’avventura di Lucas Tolentino Coelho de Lima al Milan è praticamente finita, ma non nel peggiore dei modi. Ci sono due possibili motivi “universali” che potrebbero in qualche modo aver modificato irreversibilmente la linea temporale del “nostro” (inteso come da noi conosciuto) Paquetà, allontanandola dal suo destino, in maniera netta: il primo prende il nome di Neymar, il secondo di Ricardo Kakà. Ma ci arriviamo con calma.

Nel gennaio del 2019 Lucas è senza alcun tipo di dubbio uno dei più interessanti tra i prodotti del movimento calcistico brasiliano, scottato dalla mancata esplosione europea di Gabriel Barbosa (Gabigol) e quella internazionale di Gabriel Jesus, uno 1996, l’altro 1997. Praticamente suoi coetanei. Qualcuno potrebbe obiettare citando i numeri dell’ex Inter con il Flamengo, nominato “calciatore sudamericano dell’anno” proprio nel 2019, o quelli dell’ex Manchester City: le aspettative su entrambi, comunque, erano spaventosamente grandi. A questo si aggiunge l’inizio della discesa della parabola di Neymar, arrivata fino ai giorni nostri. A differenza loro Paquetà ha rappresentato, però, innanzitutto un unicum.

“Ha vissuto momenti difficili, ma li ha superati: sappiamo quanto abbia lavorato duramente per arrivare dove si trova”, ha spiegato nel 2017 Zé Ricardo, che lo ha seguito per tutte le giovanili del Flamengo, arrivando ad allenarlo in prima squadra tra il 2016 e il 2017.

La sottolineatura di Zé Ricardo non è casuale: Paquetà non nasce come attaccante, né ha il passo per fare l’esterno d’attacco. Ha ottime doti d’inserimento tra le linee e questo lo ha fatto crescere sia come mezz’ala che come trequartista: ciò che si nota, comunque, è che Lucas, sin dai primi anni di carriera non ha un ruolo ben definito. È, appunto, una singolarità.

Il primo, vero, tentativo di “evoluzione” di Paquetà, però, è opera di Reinaldo Rueda, che subentra a stagione in corso proprio a Zé Ricardo: l’honduregno lo schiera, in mancanza di alternative, come falso nueve. Il brasiliano esplode: la sua particolarità riguarda soprattutto la compostezza nel primo controllo, tecnico come pochi. C’è poco da dire: viene nominato miglior giocatore della finale di Coppa Sudamericana persa contro l’Independiente. Nel 2018 viene spostato a sinistra, ma sempre in attacco, forte dell’esperienza maturata dal punto di vista offensivo nella stagione precedente. Con queste premesse Lucas si presenta al Milan: non è il nuovo Neymar. Non potrebbe esserlo: uno dei giocatori più rappresentativi della sua generazione, però, sì.

Dal punto di vista simbolico, l’arrivo di Lucas in Italia riprende fedelmente il legame con le radici espresso dal suo soprannome: “Paquetà” deriva dall’omonima isola nella Baia di Guanabara, a Rio de Janeiro, e non ha un nome casuale. Si tratta di un paradiso naturale in cui le automobili non sono ammesse, sostituite attentamente da biciclette e percorsi a cavalli. In lingua tupi, una delle più antiche parlate nella costa atlantica del Brasile, “Paquetà” altro non significa che “molte conchiglie”. Il calciatore brasiliano è una di queste.

Belle da vedere, quando il mare si ritira, lasciando la sabbia assorbire le sue acque, fugaci nel loro risplendere al sole: e proprio come di una bella conchiglia è facile che ce ne si stanchi facilmente, una volta strappata alle proprie radici. I rossoneri battono la concorrenza del PSG e lo portano in Serie A per quasi 40 milioni. È un investimento importante, forse troppo, ma ha una ragione.

Nella squadra di Gennaro Gattuso Paquetà può ricoprire tre ruoli diversi del 4-3-3: mezz’ala, ala e falso nueve. L’attuale allenatore del Valencia, da gennaio, opta per la prima, nella mediana completata da Bakayoko e Calhanoglu. Di quel gruppo fanno parte anche Suso, Castillejo, Piatek (appena acquistato dal Genoa, nel mercato invernale) e Kessié. Il brasiliano non lascia mai la linea di centrocampo.

Non è un’involuzione: è il perfetto collante tecnico tra i due reparti, in fase di costruzione e finalizzazione: dal punto di vista statistico, però, Paquetà metterà a referto due assist contro la Roma in Serie A e contro il Napoli in Coppa Italia, entrambi per Piatek, e un solo goal. L’unico, tra l’altro, della sua avventura in rossonero: è la sintesi perfetta di ciò che potenzialmente avrebbe potuto essere il brasiliano. In uno dei momenti di maggior propensione offensiva della formazione di Gattuso, contro il Cagliari a San Siro, Paquetà rimane alto, ma sfugge al controllo della difesa a zona della formazione di Rolando Maran. A colpire è soprattutto l’intelligenza del giocatore (momentaneamente fuori posizione), che sulla respinta difensiva e al momento del controllo di Calabria, esattamente dall’altra parte dell’area di rigore rispetto alla sua posizione, sa perfettamente dove inserirsi per raccogliere il cross e colpire sul secondo palo, battendo Cragno con il mancino. Esecuzione perfetta.

Al di là di una fisicità costantemente fa migliorare per gli standard del calcio italiano. Paquetà si dimostra soprattutto poco costante nel rendimento, ma uno dei suoi più grandi problemi al Milan rimane il perenne accostamento a Ricardo Izecson dos Santos Leite. Kakà.

“È stato uno dei miei idoli e il mio sogno è di riuscire a far bene nel Milan come ha fatto lui”: non è una speranza, è una promessa fatta ai presenti all’aeroporto Tom Jobim di Rio de Janeiro prima di partire per l’Italia. Ovviamente disattesa.

Tradisce il movimento con il braccio piegato a mezzobusto in controllo: fissare come punto d’arrivo una delle leggende più importanti del Milan, però, non è stata la migliore mossa possibile per Paquetà, che con l’arrivo di Stefano Pioli, subentrato a Marco Giampaolo a fine 2019, perde definitivamente quasi ogni possibilità di lasciare la sua traccia nella storia rossonera.

Secondo Zé Ricardo, Paquetà ha reso al Milan solo al 30% delle sue possibilità: Pioli, come riportato nell’incipit di quest’articolo, lo mette sul mercato alla vigilia della stagione 2020/21. In rossonero le speranze di recuperare l’investimento portato avanti qualche anno prima sono ridotte al lumicino, ma in dirigenza riescono a cederlo all’Olympique Lione per 21 milioni di euro. Non è andata malissimo.

C’è una questione semplice, però, relativa alle conchiglie che vale la pena affrontare, brevemente: la bellezza di ciascuna di esse è puramente soggettiva, soprattutto se rapportata al contesto. Paquetà in Francia rinasce. Merito di Rudi Garcia prima e di Peter Bosz dopo: a fine gennaio del 2021 France Football gli dedica addirittura la prima pagina. “Le tigre de Lyon”: la tigre di Lione. Mica male.

France Football PaquetàTwitter
“Al Milan non avevo amici: questo fa la differenza per un brasiliano. Questo è Paquetà”, ha spiegato in quel periodo a Canal +.

Il giocatore brasiliano visto in Italia, in rossonero, non esiste più: è appena approdato in Premier League, sponda West Ham per 60 milioni di euro. Il Milan lo ha fatto partire con leggerezza, ma qualora dovesse ancora migliorare non potrà essere un rimpianto: il Paquetà visto in Serie A era un giocatore talmente incompleto e poco costante da non poter alimentare alcun tipo di rammarico. Quello visto in Francia, dal punto di vista statistico, porta con sé 21 goal in 80 presenze al Lione: da quello legato allo spettacolo, i movimenti Funky delle sue esultanze con la numero 10 sulle spalle. Come al Parc des Princes, dopo aver bucato il PSG e Gianluigi Donnarumma con un taglio centrale da attaccante puro, concluso con una stecca di mancino all’angolino, sul primo palo. “Questo è Paquetà”: è proprio vero. Una conchiglia dell’omonima isola di Rio de Janeiro, incompresa alla luce del sole rossonero, spiegata, levigata e tradotta, nella sua semplicità e priva di etichette pesanti, dal tempo.

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