Immediatamente dopo la parata di Julio Cesar su Sergio Busquets, un miracolo che di fatto ha riconciliato le paure dei presenti con la speranza di potercela fare, Olegario Benquerença fischia un fallo per carica al portiere: Maicon, in pura trance agonistica, non si ferma. Prende la palla vacante e la spazza fuori da area di rigore e campo. Anche a gioco fermo. Anche dopo dieci secondi dal fischio. Questa, più di altre, è la sintesi perfetta di una serata destinata a fare la storia.
Parecchio prima, però, più o meno quando Diego Milito ha aperto il destro spedendo la palla alla sinistra di Victor Valdes, e a un soffio dal palo, ovvero dopo il vantaggio beffardo del Barcellona, San Siro si è riscoperto, una volta in più, consapevolmente “interista”, nel senso ultimo e più puro del concetto di “interismo”. Un’occasione fermata dal guardalinee per un fuorigioco che, a conti fatti, neanche c’era, il mancino del “Principe” dopo la respinta corta del portiere spagnolo, sul tiro di Eto’o, incredibilmente fuori dallo specchio della porta: il goal di Pedro e quest’altra opportunità, sciupata.
Il fatto è che quella sera a San Siro non solo non c’era un posto libero: non c’era proprio posto per il pessimismo cosmico che, di solito, ha caratterizzato la storia dell’Inter. In una delle immagini raccolte da Sky e montate negli highlights si nota una donna far due “corna” tese, scaramantiche: mani e nervi consumati, consacrati alla Dea della Fortuna in cambio di una grazia.
“È giusto così”, urla Roberto Scarpini in telecronaca, a Inter Channel. Lo fa dopo che Wesley Sneijder riequilibra il risultato al 30’, riportando il contesto ai limiti del possibile. Perché “possibile” è, forse, la parola che più rappresenta quella che per gli interisti di ogni età è, è stata e sarà sempre la “partita perfetta”. Da lacrime e orgoglio.
GettyAlcuni tra i ricordi più limpidi di quella sera, invece, riportano alla memoria il bacio al pugno destro di Maicon, l’urlo incessante di Milito, i denti del “colosso” persi tra i fili d’erba di San Siro dopo lo schianto aereo con Lionel Messi e l’intervento “folle” di Sneijder su Dani Alves in area di rigore (con una perdita stimata di 8-10 anni anagrafici degli spettatori). Ah, sì, e il vulcano.
Nulla avrebbe potuto frapporsi tra l’Inter e il Barcellona: nulla di ordinario, almeno. Perché a meno di una settimana dalla sfida d’andata delle semifinali di Champions League l’Eyjafjallajokull, un vulcano islandese, decise di dar seguito a un’eruzione avvenuta quasi un mese prima, complicando irreversibilmente i piani di quella che a detta di tutti era la squadra più forte del mondo. Il Barcellona. È un segno divino, o qualcosa di veramente simile.
Gli aeroporti di mezza Europa chiudono per la nube che si estende dall’Islanda agli altri Paesi: voli cancellati fino al Nord Italia, che di fatto rendono impossibile anche il “piano B” dei blaugrana e che non prevedeva più Milano, ma Pisa come meta. Nulla da fare. Il “piano C” riguarda, ovviamente, una trasferta in treno: tutto bello, se non ci fosse uno sciopero in Francia. Sì, è davvero un segno divino.
Il “piano D” è simbolico: “D-evastante”. Un viaggio in pullman di 15 ore totali con sosta a Cannes, giusto per la notte: è una follia, ma non ci sono alternative. “Non ci sono date libere in calendario”, è la risposta recapitata dagli uffici della UEFA al Barça alla richiesta di rinvio. La situazione è talmente incredibile che viene addirittura preallertata una quaterna arbitrale alternativa a quella diretta da Benquerença. È l’anticamera del multiverso, con finali del tutto differenti tra loro.
Solo in uno tra loro, però, passa il Barcellona: ed è quello che Doctor Strange suggerisce a Yaya Touré che, noncurante del consiglio, stoppa il pallone con un pugno, prima di servirlo a Bojan Krkic che, per un attimo, realizza il sogno di tutti, al Camp Nou e non. Episodio che verrà ricordato, dieci anni dopo, su Twitter: “aniVARsario”, scriverà l'ex Roma e Milan.
Il motivo che ha spinto un giocatore come Bojan, che con il Barça di Champions ne ha vinte due, a ricordare quella partita in maniera così acida rimanda al clima vissuto per un’intera settimana in Spagna dopo la sfida vinta dall’Inter per 3-1 a San Siro. Tra l'altro segnata da due episodi simili: Zlatan Ibrahimovic e Mario Balotelli che si tolgono la maglia al triplice fischio, molto arrabbiati. Uno per il risultato, l'altro con i propri tifosi.
Il viaggio infernale in pullman viene subito visto come una grande ingiustizia non solo dai componenti della formazione di Pep Guardiola, che verranno fotografati in atteggiamenti ironici a bordo del mezzo (quasi come a dire “guardate come è andata a finire”), ma anche dai media, che inizieranno a pompare la sfida del ritorno con una parola ben precisa.
GettyQuattro giorni la gara di ritorno il Barcellona scende in campo contro lo Xerez indossando una maglia sopra la tradizionale casacca da gioco. “Ci lasceremo la pelle”, recita la scritta sul fronte. “Mercoledì alle otto tutti al Camp Nou”. Ed ecco la parola di cui parlavamo poco fa: c’è la figura stilizzata di un tifoso con la sciarpa tesa. “Remuntada”.
"Certo che ho pensato alla semifinale del 2010: viaggiammo in pullman per il vulcano islandese, non fu facile arrivare qui. Ci furono molte polemiche, è un triste ricordo per noi", ha dichiarato Xavi alla vigilia della sfida (nel nostro presente) contro la formazione di Simone Inzaghi.
I giocatori di José Mourinho vengono accolti male: la notte precedente alla partita ricevono il trattamento dei tifosi del Barcellona che si presentano sotto l’hotel e mettono su un concerto a base di cori e tamburi fino all’intervento della polizia locale, alle tre del mattino. Prestino, sì. Tempestivo soprattutto. All’arrivo al Camp Nou il pullman nerazzurro viene bersagliato dagli spagnoli, che fanno sentire la loro pressione anche al momento dell’ingresso in campo, con una coreografia che richiama alla figura stilizzata citata prima. È qui che, forse, l’Inter ha vinto il doppio confronto: quando ha riportato sulla terra il Barça e i suoi tifosi, spaventati, ansiosi. Ridotti ai mezzi più crudi pur di mettere in difficoltà l’avversario. Non era più la squadra degli dèi, la più forte al mondo: era una squadra qualunque.
“Il famoso tiki-taka, taka-tiki, tiki-taka… ma sembrava noi fossimo in undici, perché non c’erano spazi”.
Mourinho se la ride, quando Franck de Bleeckere manda negli spogliatoi Thiago Motta. Sergio Busquets è furbo: cade a terra all’indietro, come se avesse subito una violenta gomitata. La verità, attestata dalle immagini, è che il centrocampista dell’Inter aveva semplicemente preso posizione: sbircia, lo spagnolo, continuando a soffrire e guadagnando i consensi del direttore di gara.
È il 28’ e i nerazzurri si trovano ad affrontare due terzi di partita in inferiorità numerica: si chiudono, intasano i corridoi. Julio Cesar incornicia la parata della sua carriera su un mancino di Lionel Messi che, di solito, si conclude con la corsa a braccia aperte dell’argentino, in festa. Non è così, quella sera. Non può esserlo: ma l’interismo, in fin dei conti, è più di un semplice rimando all’Inter. È uno stile di vita, confermato di volta in volta dalla voglia di complicarsi quest’ultima.
Nella giravolta di Gerard Piqué c’è tanto: ci sono tanti anni, pregressi, di delusioni e derisioni. Di “mezze” vittorie alternate a beffe di portata storica. C’è il 5 maggio del 2002, c’è l’errore di Mohamed Kallon nel derby contro il Milan nella semifinale di Champions del 2003. C’è la certezza che un interista non potrà mai godersi una vittoria senza prima soffrire fino alla fine. Che però arriva: ed è straordinaria.
“È il momento più bello della mia carriera: più del primo campionato e della Champions che ho vinto. È il momento più bello di tutti”, spiega Mou.
La sua corsa è iconica: viene raggiunto da Victor Valdes che prova a frenarlo, invano. Il portoghese non lo degna neanche di mezzo sguardo, mentre indica il settore ospiti del Camp Nou. I suoi giocatori sono a terra a piangere: gli addetti al campo fanno scattare gli irrigatori. Neanche loro riescono a fermare la festa dell’Inter: anzi, se possibile la rendono epica. Altro che “Remuntada”.
“Eroi: tutti loro, in campo, in tribuna, in panchina. Tutti. Questo successo è per qualcuno che non è di qua, ma sta di là”, afferma Mourinho.
E chi “sta di là” ci aveva messo del suo, in effetti: portando all’esasperazione un vulcano islandese, l’Eyjafjallajokull, che segnerà per sempre la storia della più importante partita dell’Inter del Triplete che riuscì a rendere “normale” gli “dèi” blaugrana per due notti. Semplicemente eterne.