Il cielo è blu, le montagne sono alte, l'acqua è bagnata. Ovvietà, eterne. Come quella del mondo calcistico, che ha al suo interno alcuni accorgimenti voluti dagli uomini, fissi nel terreno e quasi mai immodificabili. Hanno creato la normalità dello sport, decine di anni senza modifiche allo status quo. Ogni tanto, però, qualcuno è andato oltre il proprio ruolo, pugno alzato e rivoluzione pallonara. Si gioca con una sfera, si calcia verso due pali verticali e uno orizzontali. In porta gioca il numero 1, il portiere, a centrocampo o in attacco il 10, il più qualitativo della squadra, con mento alto e classe innata. Dalla casa del calcio Inghilterra agli ultimi decenni del '900, numeri sempre uguali, fino all'11, punta centrale. Poi qualcosa è cambiato, sono arrivati i 44 Gatti, i 7 Nani e i 5 Sensi. E un portiere, Cristiano Lupatelli, con la dieci sulle spalle.
Servirebbero cento minuti ad eventuali viaggiatori nel tempo provenienti dall'inizio del ventesimo secolo, per spiegare come mai un portiere con i basettoni, lo sguardo da duro e abilità nel volare da una parte all'altra della porta, abbia avuto la possibilità di giocare con la maglia numero 10. Un portiere senza reti come Rogerio Ceni e Chilavert, ma con la volontà di cambiare la normalità, stravolgendola solo per sè stesso, continuando ad essere eccezione che conferma la regola del quieto vivere, senza scossoni e turbamenti.
A 21 anni, il perugino Lupatelli vince lo Scudetto con la Roma di Capello. Gioca otto gare, abbastanza per sentire suo il titolo, in una squadra piena di stelle luminose, lupe senza agnelli, Totti, Batistuta, Montella e ovviamente l'amico e compagno di reparto Antonioli, titolare giallorosso. Sarà il momento più alto della sua carriera, l'unico trofeo in bacheca. Basterebbe questo per consegnarlo a suo modo alla storia del calcio italiano, all'interno di quella lista, lunga, ma non lunghissima di giocatori capaci di mostrare la vittoria più importante. Eppure per i nostalgici e i nuovi fruitori del passato, il suo nome sarà sempre accostato al dieci.
Il dieci della Roma è Totti, nel 2001. E' il Seedorf interista, il Rui Costa interista e ovviamente l'Alex Del Piero bianconero. Indossano il dieci Hernan Crespo in biancoceleste Lazio, Rivaldo a Barcellona, Ruud Van Nistelrooy al Manchester United, Figo al Real Madrid. Trofei e classe, goal e assist, titoli di giornale e prime pagine web. Il neopromosso Chievo, proveniente da un quartiere di Verona che mai avrebbe pensato di approdare nella massima se non davanti alla possibilità di vedere i Mussi volare, sceglie Lupatelli come primo portiere titolare della sua nascente storia in A.
Lupatelli accetta, conosce Marazzina, mister Delneri, Perrotta e il fu Eriberto (Luciano), Cossato, Lanna e D'Anna. Tanti ragazzi che non vedono l'ora, tra sogno e realtà, di confrontarsi con i grandi abituati a San Siro, l'Olimpico, il Franchi. Ha 23 anni Cristiano, amici nel calcio e fratelli lontani dal pallone. In una conversazione estiva, si parla anche di quale numero, nel nord Italia, debba indossare.
Anni dopo, al sito iosperiamoche.it, racconterà come il dieci arrivi per caso, per scherzo. Per scommessa.
"Si, la scelta del n.10 era nata in seguito a una discussione con degli amici che non seguono il calcio. Parlavamo del numero di maglia che avrei dovuto scegliere al Chievo e loro mi avevano suggerito: “Prendi il 10!”. Ecco, alla fine l’ho preso davvero, sorprendendoli".
Non sono solo gli amici ad essere sorpresi, è il mondo del calcio tutto ad esserlo. Perchè il dieci è dei trequartisti e dei bomber e lo status quo viene travolto. Vedove, attacchi pre-social, indignazione da bar sport. Ma anche, rovescio della medaglia, sorpresa e risate, applausi per chi ha deciso di cambiare, di mettersi in gioco. Attestati di stima da Roma, la capitale, i tifosi scudettati in carica invocano Totti e tributano cori di supporto ad uno dei campioni d'Italia 2001.
Lupatelli ha vinto lo Scudetto, storico, della Lupa Roma. Ha giocato in piazze che guardano al passato con gioia mista a dolore senza trofei attuali, dalla Genova rossoblù a Bologna, da Cagliari a Firenze. Ha collezionato presenze con la Nazionale italiana Under 21, ma nel corso degli anni sarà sempre l'emblema delle strane maglie indossate, dagli attaccanti col numero 1 ai difensori con il 99.
Getty"Giocare con il dieci fu un'idea simpatica, è stato divertente giocare in campionato con quella maglia".
Anni di interviste, due decadi di spiegazioni su quel 2001/2002. L'anno del Chievo, la prima salvezza e la consapevolezza di poter dire la propria in Serie A scovando giovani, reclutando vecchi campioni e puntando tutto su un mix utile a rimanere nella massima serie in 17 occasioni, prima dell'estate 2021 e dalla mancata ammissione alla B. Qualcosa che riporta alla mente anche Lupatelli e le sue parate, l'essere dieci in un mondo fisso e a volte intoccabile come quello del calcio.
Cosa c'è oltre a quel 10? Ci sono due stagioni in maglia Chievo in cui gli adolescenti dell'epoca imparano la memoria la formazione di Delneri, che inizia da Lupatelli e finisce con Corradi. O Marazzina. O Cossato. Ci sono un quinto posto immediato alla prima stagione assoluta in Serie A, l'esperienza in Coppa UEFA e un settimo posto. La possibilità di mostrare che in Italia c'è un Cristiano di nome, andato oltre gli schemi.
C'è un mondo lupatelliano fatto di basette e moto. Amante della moda, del mondo a stelle e strisce, in una maglia, quella del biennio Chievo 2000-2002, che ha colori solamente nel logo in mezzo a tanto grigio, senza lunghi filamenti orizzontali. Guida una moto, indossa la dieci (non lo farà mai più, tra i 22, i 28, i 13 e sì, i 3), fa impazzire gli abitanti del futuro e ragazzini del nuovo millennio:
"Mi piace la musica? Non tanto, sono invece un grande amante delle moto, in particolare delle Harley Davidson. Possiedo due Harley, mi piacciono molto quelle con uno stile più retrò, in particolare le “Bobber”, credo siano le più belle".
Uno stile e una mentalità unica, creata dal tempo e dalla spinta delle prime impressioni. Perchè forse quel dieci, oltre alla scommessa con gli amici, viene da lontano. Da quando il Cristiano Lupatelli bambino tira i primi calci a pallone e non sa dove finirà la sua vita, impegnato a giocare letteralmente, e non lavorare per vivere. A Perugia, prima di trasferirsi nelle giovanili della dimenticata Fidelis Andria (in Serie B nel 1998/1999), il giovane 'Lupo' intuisce furbescamente le possibilità di giocare tra i pali. Magari vorrebbe anche segnare, ma vuoi mettere la comodità?
"Ho deciso di diventare portiere da bambino, avevo 8-9 anni e cominciavo ad allenarmi e avvicinarmi al mondo del calcio. Ricordo un particolare che mi aveva colpito: durante l’allenamento la squadra veniva divisa tra calciatori e portieri. I calciatori si allenavano sul campo in terra battuta, mentre i portieri avevano un loro spazio nel campo in erba. Allora mi ero detto: “Meglio quello in erba…”. Anche questo ha influito sulla mia scelta di diventare un portiere".
A tutti bambini piace segnare goal, ma correre sull'erba è qualcosa di più bello, soave, naturale. Vuole i goal, ma sceglie i guantoni. E ancora oggi non ha abbandonato la porta: ci lavorerà nel suo Perugia, dopo esser passato anche dalla Juve. Ha idee da dieci, come emblema del calcio e come voto. Opta per una vita da portiere. Uno strano estremo difensore, particolare, mitico. Mito.