C'era una volta il Chelsea degli italiani. Di Gianluca Vialli, di Gianfranco Zola, di Roberto Di Matteo, di Carlo Cudicini, pure di Lele Ambrosetti. Con Claudio Ranieri in panchina. Ma anche degli ex Serie A andati a concludere la carriera a Londra: Gullit, Desailly, Deschamps. E poi c'era una volta un italiano a sorpresa come Marco Ambrosio, una vita trascorsa a volare da un palo all'altro tra Serie C, Serie B e Serie A e i Blues come sogno di una notte di mezza estate. Durato soltanto lo spazio di 12 mesi, ma che tempi, quei tempi.
Ambrosio arriva al Chelsea nel giugno del 2003: i londinesi lo prelevano a costo zero dal Chievo dei miracoli di Gigi Del Neri, dove nelle due stagioni precedenti ha fatto la riserva di Lupatelli. Il club è formalmente ancora di proprietà di Ken Bates, ma sulla Premier League sta per abbattersi il ciclone Roman Abramovich. Che conclude il takeover a inizio luglio, un mese più tardi. Marco, in pratica, diventa uno dei primi volti nuovi dell'era Abramovich assieme a Jürgen Macho (primo in assoluto), a Glen Johnson (primo acquisto effettivamente concluso sotto la guida del nuovo patron) e ai vari Geremi, Crespo, Veron.
Con il Chelsea Ambrosio firma un ricco triennale, a cifre praticamente quadruplicate rispetto a quelle del Chievo. E appena il trasferimento è ufficiale fa sfoggio di onestà, come riporta all'epoca la 'Gazzetta dello Sport':
“Sono felicissimo, davvero: ho l'occasione di fare una bella esperienza, di giocare la Champions League, e prenderò una barcata di soldi. È un sogno”.
“Non mi sono certo posto il problema di essere titolare o no, quando ho firmato. Vado in un grande club, in un bellissimo campionato, gioco la Coppa Campioni, cosa devo volere di più? Però Cudicini potrebbe anche andare via, e allora...”.
Il curriculum di Ambrosio, del resto, parla da solo. Ai promettenti inizi con la Primavera dell'Atalanta, con cui nel 1993 vince Scudetto e Viareggio con Cesare Prandelli in panchina, seguono tanta B e C. L'esordio in A nel 1997, con la Sampdoria. E poi, dopo la Lucchese, la chance di far parte della leggendaria prima volta del Chievo, il quartiere arrivato a giocarsela alla pari con le grandi d'Italia.
Il Chelsea, però, è un'altra roba. Non è ancora veramente il Chelsea di Abramovich, ma ha ambizioni e gioca in Champions League. Ambrosio, nei piani di Ranieri, è il terzo portiere dietro al connazionale Cudicini e a Neil Sullivan. A 30 anni, può andar bene così. L'esordio a fine ottobre lo riporta coi piedi per terra: i Blues superano per 4-2 il Notts County in League Cup, ma nel finale l'ex clivense si rende protagonista di un erroraccio che costa una delle due reti bianconere e, inevitabilmente, intacca la fiducia di club e allenatore nei suoi confronti.
Sogno già svanito? Nemmeno per sogno. Perché nel Chelsea che arriva a un passo dalla finale di Champions League di Gelsenkirchen, vedendosela sfuggire solo in semifinale contro il Monaco, c'è anche lo zampino di Ambrosio. Cudicini e Sullivan sono indisponibili per infortunio e nei quarti tocca a lui. Doppia sfida da brividi: c'è l'Arsenal, destinato a creare la leggenda degli Invincibili di lì a qualche mese. 1-1 allo Stamford Bridge, 2-1 Chelsea ad Highbury. Ambrosio gioca titolare sia l'andata che il ritorno, fa il suo e si prende pure lui un pezzettino di storia, anche se il protagonista principale non può non essere Wayne Bridge, autore del goal qualificazione in terra nemica.
Getty ImagesAlla vigilia di gara-1, naturalmente, i dubbi si sprecano. Riuscirà questo Ambrosio, che fino a qualche mese fa faceva il dodicesimo al Chievo, a sostenere un esame del genere? Un paio di settimane prima ha esordito in Premier League in casa del Bolton e se l'è pure cavata bene, tenendo la porta chiusa, ma insomma, la Champions League è la Champions League. Roba da far tremare i polsi anche a uno esperto come lui.
“Ranieri mi ha detto di rimanere tranquillo e di giocare senza paura. Prima della partita col Bolton ero molto nervoso, perché tutti volevano capire se potessi davvero giocare con una grande squadra come il Chelsea. Ora non so se sarò pronto per questa sfida. Vedremo”.
I 180 minuti, nonostante dubbi e perplessità, vanno come sperato e sognato. Il Chelsea elimina l'Arsenal e c'è gloria anche per Ambrosio, che tra andata e ritorno difende egregiamente la propria porta. Ad Highbury, sul punteggio di 1-1, evita il peggio volando sulle conclusioni dalla distanza del povero Reyes e di Kolo Touré. Semmai è il suo collega Lehmann a combinarla grossa, regalando con un paio di errori altrettante reti a Gudjohnsen e a Lampard.
Peggio va in semifinale: Cudicini è ancora ai box e così tocca ad Ambrosio giocare dall'inizio anche l'andata del Louis II contro il Monaco. Va male, perché trionfano i monegaschi di Deschamps: 3-1. Ambrosio prende due reti imparabili da Prso e Morientes, poi non è molto reattivo su Nonda, che lo batte per la terza volta. Al ritorno tocca al collega italiano riprendersi il posto tra i pali, ma non c'è niente da fare: il 2-2 dello Stamford Bridge sancisce la fine del sogno.
Alla fine, nonostante l'ebbrezza di aver sfiorato da protagonista una finale di Champions, dei tre anni di contratto promessi dal Chelsea al momento della firma Ambrosio se ne gode soltanto uno. Nell'estate del 2004 arriva Petr Cech e per lui non c'è più spazio. Marco lascia il Chelsea e va in Svizzera, al Grasshoppers, dopo aver collezionato 12 presenze tra Premier League (8), Champions League (3) e League Cup (una). Non male, per uno che a un certo punto credeva che la sua carriera si sarebbe snodata unicamente tra Serie B e un'onesta Serie A e che, di punto in bianco, si è ritrovato catapultato in una realtà completamente diversa da quella a cui si era ormai abituato.
“L’Inghilterra è una pacchia – raccontava Ambrosio qualche anno fa in un'intervista rilasciata a Goal – non ci sono pressioni o polemiche e si riesce comunque ad esprimere un calcio importante. L’Italia dovrebbe prendere esempio”.
“Il Grasshoppers? In Svizzera sono stato bene. Non pensavo, invece anche lì il livello è buono, le prime cinque squadre potrebbero giocare benissimo nella nostra Serie A. Non ci sono pressioni, le squadre non hanno problemi economici e, cosa che non immaginavo, il pubblico è numeroso, senza contare che Zurigo è una città stupenda dove si vive benissimo”.
Che Ambrosio sia uno per nulla banale nelle scelte di carriera e di vita, peraltro, lo si intuisce dalle sue successive esperienze: un altro po' di Serie B, poi Serie C, fino alla chiusura nei dilettanti bresciani e alla... partecipazione come pilota di rally a varie corse in giro per l'Italia. Lo fa pure quando diventa preparatore delle giovanili del Milan – anche della Primavera, in cui lavora assieme a Gattuso – perché “il calcio è il mio lavoro, ma i rally sono la mia grande passione”.
A fine 2018, poi, Ambrosio decide di tornare in campo a 45 anni per giocare con i dilettanti del Chiari, nel bresciano, nel campionato di Prima Categoria. Il portiere titolare si è rotto il crociato e il club decide di richiamarlo all'opera: "Marco ha accettato di rimettersi in gioco a Chiari e gliene siamo grati". Appello raccolto: l'ex Chelsea si rimette i guanti e torna a parare, anche se solo per pochi mesi, prima di tornare definitivamente dietro le quinte nel luglio dell'anno successivo.
Inutile, però: i ricordi più piacevoli portano ancora e sempre all'Inghilterra, a Londra, al Chelsea. Un pezzetto di cuore è ancora là, anche quando il club diventa il simbolo del glamour e della globalizzazione delle proprietà sportive. E anche oggi che Ambrosio ha 51 anni, può raccontare a buon diritto di aver fatto concretamente la propria parte in una serata, quella di Highbury, che nonostante tutte le conquiste successive è rimasta nella storia dei Blues. Che tempi, quei tempi.