
Oggi è un allenatore affermato (in Serie A, con la Salernitana) e quando faceva il calciatore era specializzato nel recuperare palloni e nel far ripartire rapidamente l'azione, trasformandola da difensiva in offensiva, grazie ad un'innata capacità di leggere l'azione. Paulo Manuel Carvalho de Sousa, per tutti Paulo Sousa, è stato uno dei più grandi centrocampisti del calcio portoghese, il playmaker della 'Generazione d'Oro', devastante quando il fisico e le sue ginocchia fragili gli consentivano di esprimersi al 100%.
Se con il Portogallo l'unico titolo vinto sono i Mondiali Under 20, a livello di club Sousa ha vinto tutto: prima in patria, con il Benfica, poi in Italia, dove ha fatto le fortune della prima Juventus di Lippi, quindi in Germania, diventando un pilastro del Borussia Dortmund. Con i bianconeri e i gialloneri ha conquistato due volte la Champions League, vincendo anche una Coppa Intercontinentale con i tedeschi.
In Italia ha vestito anche le maglie di Inter e Parma, ma, a causa di continui problemi fisici, ha giocato poco e ad intermittenza. Gli ultimi anni lo hanno visto indossare le maglie del Panathinaikos in Grecia e dell'Espanyol in Spagna, prima di chiudere precocemente la sua carriera nel 2002 a soli 31 anni.
DAGLI ESORDI AL BENFICA E AI MONDIALI UNDER 20
Paulo nasce a Viseu il 30 agosto 1970, nel centro del Portogallo.
"Sono cresciuto in una famiglia di pochi averi ma in cui, al contrario, non mancavano l’armonia, l’affetto, il senso del dovere e della giustizia. - ha raccontato nel maggio del 1994 a 'Hurrà Juventus' - Cioè, un focolare eticamente ineccepibile".
"Mio padre Delfim era ed è meccanico di moto e mia madre, Maria Madalena, una sarta. Con il mio aiuto, ha poi potuto permettersi di stare a casa. Chi svolge lavoro dipendente, per di più umile non può di certo campare nell’agiatezza, stenta a far quadrare il bilancio domestico. Io sono il primogenito. Dopo è arrivato un fratello e le cose, naturalmente, dal punto di vista dei mezzi, non sono migliorate".
Sousa va a scuola e inizia a giocare a pallone per strada con i suoi amici. Ma da giovane pratica anche il basket e l'atletica, dove eccelle nelle corse sulla lunga distanza e nel mezzofondo, come tanti suoi connazionali. Gli piace molto anche la pallavolo, ma non ha mai avuto occasione di praticarla.
A 12 anni firma però il primo cartellino per il Repesenses, intanto a scuola brilla soprattutto in matematica, concludendo anche il ginnasio (9° anno di scolarità) con un 10 e lode nella materia. Il suo sogno è fare l'insegnante, più precisamente il maestro elementare. Resterà nel cassetto.
Mentre ottiene buoni risultati negli studi, infatti, Paulo è protagonista nella formazione degli 'iniciados' che disputa il campionato portoghese della categoria (zona nord), e che trascinata da lui fa ottime figure con squadre quotate come quelle del Porto e del Boavista. Succede così che Peres Bandeira, osservatore che gira il Paese da Nord a Sud in cerca di giovani talenti, e Ct. delle Nazionali giovanili del Portogallo, lo segnali al Benfica.
"Il signor Bandeira si mise in contatto con mio padre - ricorda Paulo Sousa - e l’accordo venne raggiunto in pochi giorni. Anche se tifavo Sporting e il trasloco mi allontanava dai miei e scombussolava radicalmente i miei progetti, non potevo permettermi il lusso di rifiutare l’occasione di spiccare il primo grande salto della mia vita".
Al Benfica approda nel 1986 e trascorre in tutto sette anni, 3 nelle Giovanili, 4 in Prima squadra, apprendendo, migliorandosi e diventando un grande calciatore.
"Quasi tutto quello che valgo come calciatore - dirà nel 1994 - lo debbo all’allenatore Tamagnini Nenè (ex goleador del Benfica negli anni 60, n.d.r.)".
LE PRIME VITTORIE E IL PASSAGGIO ALLO SPORTING
Dopo essersi imposto all'attenzione gia con le Giovanili del Portogallo, con cui, sotto la guida di Carlos Queiroz, nel 1989 si laurea Campione del Mondo Under 20 a Riyad, Sven Goran Eriksson lo fa esordire in Prima squadra nella stagione 1989/90.
"Debbo ringraziare Queiroz, perché mi ha proiettato a livello internazionale e instillato in me la mentalità vincente, ed Eriksson, perché mi ha lanciato in prima squadra quando ero appena un diciannovenne. Due grandi allenatori che hanno segnato in modo tangibile e indelebile la mia carriera".
Già con le Aquile per Sousa arrivano i primi successi. Nel 1989 vince la Supercoppa portoghese e con i biancorossi, pur da riserva, approda in finale di Coppa dei Campioni, dove i lusitani sono sconfitti dal Milan. Nel 1990/91 arriva il primo (e unico) Scudetto portoghese, l'anno seguente la Coppa del Portogallo.
La squadra di Lisbona è diventata un po' una seconda casa per il regista di centrocampo, ma dopo 7 anni, Paulo nel 1993, complici i problemi economici accusati dalle Aquile, è ceduto assieme a Pacheco allo Sporting.
I biancoverdi sono la sua squadra del cuore, e Sousa ci gioca appena un anno, componendo una grande linea di mediana, nella quale trovano posto anche il bulgaro Balakov e il connazionale Luís Figo, senza tuttavia riuscire a conquistare trofei.

PAULO SOUSA ALLA JUVE: DA LEADER A SCOMODO ESUBERO
La svolta nella carriera del centrocampista portoghese arriva nella primavera del 1994: a Torino, sponda Juventus, soffiano venti di rivoluzione e per battere la concorrenza la nuova dirigenza decide di anticipare i tempi.
Alle ore 20 del 9 aprile 1994, Bettega e Giraudo chiudono l'operazione Paulo Sousa con lo Sporting alla presenza del presidente Sousa Cintra e del procuratore del calciatore, l'avvocato Rodríguez: al club portoghese vanno 6 milioni di dollari, oltre 10 miliardi di Lire.
Sousa firma un contratto triennale con la Vecchia Signora per un ingaggio superiore al miliardo di Lire a stagione.
"Ai tifosi non faccio promesse perché non voglio ingannare nessuno, - dichiara al telefono a 'La Stampa' - ma io vengo alla Juve per vincere lo Scudetto. Ho grandi ambizioni, sognavo di giocare nel miglior campionato del Mondo e anche per questo non sono triste nel lasciare il mio Paese".
Con Sousa, la nuova Juventus di Marcello Lippi ha il playmaker di centrocampo che aspettava da anni. Il portoghese compone una vera e propria diga centrale con il francese Didier Deschamps, altro nuovo acquisto dal Marsiglia.
"Il mio gioco è fatto di parecchie cose, - dice Paulo dopo pochi mesi in bianconero - sono molto portato al recupero del pallone e al rilancio immediato. Ma in questa fase, non mi limito solo a far girare la palla. Cerco invece di verticalizzare, di cercare il compagno meglio piazzato o mi inserisco e mi propongo io stesso, per spingere, sostenere le punte. Finché non sono stato nel pieno possesso dei miei mezzi atletici, ho dovuto limitare la mia azione. Appena ho recuperato la piena condizione, ho cominciato a giocare alla mia maniera, cercando di dare alla squadra quello che il tecnico si aspetta da me. L’ho detto più volte: in Italia, alla Juventus, sono venuto per fare un salto di qualità e per vincere qualcosa. E ora che sto bene penso proprio di riuscirci".
Sousa, nonostante qualche infortunio, mette insieme 26 presenze e un goal pesante in campionato, con un cross maligno da fuori area contro il Parma, principale rivale dei piemontesi, con cui l'8 gennaio 1995 sorprende Giovanni Galli e avvia la rimonta bianconera, dopo il vantaggio iniziale di Dino Baggio. A queste si aggiungono 10 presenze in Coppa UEFA e 6 in Coppa Italia.
A fine anno i bianconeri conquistano uno storico 'Double', visto che si laureano Campioni d'Italia 1994/95 dopo 9 anni e si aggiudicano la Coppa Italia, mentre in Coppa UEFA sono sconfitti in finale dal Parma. Paulo Sousa, per la sua stagione superlativa, con un rendimento altissimo, è premiato con 'Il Guerin d'Oro' quale miglior giocatore della Serie A.

Nella seconda stagione a Torino inizia a sorgere qualche problema. Paulo Sousa si fa male al ginocchio, qualcuno lo accusa e sostiene che corre poco.
"Ho sempre saputo che correre è importante, - replica lui - perché in campo c’è una palla sola ed io voglio starle vicino. Però non bisogna correre a vuoto, tutto deve seguire un disegno. Tutti danno grande importanza all’ultimo passaggio, perché spesso il goal nasce in quel momento. Ma io credo sia decisivo soprattutto il primo. Non bisogna aver paura di rischiare: all’inizio sbagliavo molto e mi criticavano, però il mio modo di giocare è questo, dovevo solo trovare l’intesa col resto della squadra".
Come stile di gioco, invece, lo paragonano a Paulo Roberto Falcão.
"Ho sempre amato Falcão, - commenta - forse è vero che il mio tipo di gioco lo ricorda ma ognuno è se stesso. Non è vero che il regista appartiene al calcio del passato: anche oggi serve chi organizza. La differenza rispetto alle altre epoche è la velocità, tutto deve procedere in millesimi di secondo".
Il portoghese stringe spesso i denti, gli chiedono di sacrificarsi per la causa anche quando non è al meglio, lui lo fa ma le prestazioni ne risentono. Le presenze in campionato salgono a 28, ma il rendimento è altalenante, non sempre positivo. Vince comunque la Supercoppa italiana, dove però Sousa mette la sua firma è la conquista della Champions League.
In semifinale i bianconeri affrontano i francesi del Nantes. Il 17 aprile 1996 in Francia si disputa la gara di ritorno dopo il 2-0 per Madama a Torino. Vialli porta in vantaggio la Juventus, ma Decroix firma l'1-1. La gara è dura e aperta a qualsiasi risultato, quando al 51' Paulo Sousa si erge a protagonista. Lanciato splendidamente dallo stesso Vialli, il portoghese si inserisce dalle retrovie e trovatosi di fronte al portiere francese, lo trafigge con freddezza.
È il provvisorio 2-1, i Canarini riusciranno a vincere 3-2, ma in virtù del risultato dell'andata ad accedere in finale è la Juventus. In finale il centrocampista di Vizeu parte titolare, ma al 57' lascia spazio a Di Livio. Dopo i rigori, favorevoli alla Vecchia Signora, può festeggiare con i compagni il titolo di campione d'Europa. L'annata si chiude per Sousa con 37 presenze totali e una rete in tutte le competizioni.
Tuttavia la gioia dura poco: il club decide infatti di interrompere il rapporto e di cederlo ai tedeschi del Borussia Dortmund per circa 7 miliardi di Lire. Il rapporto aveva iniziato a incrinarsi già a gennaio, quando il giocatore, rientrato dal problema al ginocchio, era stato lasciato in panchina da Lippi contro il Piacenza.
"Io ho giocato quando non stavo bene: allora il mio impiego faceva comodo a me e alla squadra. - ha dichiarato il regista portoghese in quell'occasione - Ora che avrei bisogno di andare in campo per trovare la forma, invece, vengo lasciato fuori. Mi chiedo perché sono rimasto in panchina e non trovo risposta. Come giocatore devo accettare la decisione, come uomo non ci riesco".
A fine stagione non può far altro che prendere atto della decisione della società.
"Io volevo restare alla Juve - dirà ai microfoni de 'La Stampa' - ma Lippi non mi vedeva inserito nella squadra che è stata costruita grazie ai tanti arrivi. E, a quel punto, ha spinto per la mia cessione. Lascio a Torino tanti buoni ricordi, per le persone per bene contano parecchio. Mi mancheranno certi luoghi, certi amici, certe atmosfere. E mi mancherà la Juve, la sua storia, il suo ideale. I tifosi sapevano di poter contare su uno che li trascinava con entusiasmo, con voglia di vincere e professionalità".

BORUSSIA DORTMUND E VENDETTA
Al Borussia Dortmund Sousa va dopo 79 presenze e 2 reti complessive alla Juventus. Nonostante abbia appena 26 anni le condizioni del ginocchio preoccupano: il regista "soffre di tendinopatia rotulea. Ma nel finale della stagione è migliorato, agli Europei non ha avuto problemi, nell'ultima visita l'ho trovato in condizione discrete", sostiene il dottor Agricola quando i gialloneri lo rispediscono inizialmente al mittente.
"Sousa ha un grave problema ai legamenti del ginocchio - scrivono i tedeschi in una nota - tale da compromettere il suo futuro sportivo".
Alla fine però il trasferimento si concretizza e Sousa può sbarcare in Bundesliga. Sotto la guida di Ottmar Hitzfeld gioca quando il suo ginocchio lo consente e vince senza giocare la Supercoppa di Germania 1996, mentre in Europa dà il suo apporto alla conquista della seconda Champions League consecutiva della sua carriera.
Il 28 maggio 1997 all'Olympiastadion di Monaco di Baviera è regolarmente in campo dal 1' a guidare il centrocampo giallonero, e si vede. Contro la sua ex squadra orchestra la manovra dei suoi, e grazie ad una doppietta di Riedle e ad un goal di Lars Ricken, intervallati dal goal di Del Piero, può alzare al cielo per la 2ª volta consecutiva la Coppa con le orecchie, prendendosi la sua 'vendetta' sportiva personale sui bianconeri.
Sousa diventa così uno dei quattro calciatori ad essere riuscito nell'impresa assieme a Marcel Desailly, Gerard Piqué e Samuel Eto'o.
Nella stagione successiva, il 1997/98, completa il suo percorso da calciatore conquistando anche la Coppa Intercontinentale. È il 2 dicembre 1997 e Nevio Scala, succeduto a Hitzfeld, può disporre ancora una volta delle prestazioni del playmaker di Vizeu. Paulo Sousa disputa una grande partita contro i brasiliani del Cruzeiro, come tutti i compagni, e con un secco 2-0 e un goal per tempo di Zorc ed Herrlich, i tedeschi si prendono il titolo di Campioni del Mondo per club.
I problemi fisici portano il Borussia Dortmund a chiudere anzitempo il rapporto con il giocatore portoghese, che in un anno e mezzo aveva collezionato 40 presenze, 2 goal e 10 assist con la maglia giallonera.

L'ESPERIENZA CON IL PORTOGALLO
Parallelamente alla carriera con i club, Sousa difende anche i colori della Nazionale portoghese, con la quale però è decisamente poco fortunato. L'unico grande successo lo ottiene da giovane, quando nel 1989 con giocatori come Fernando Couto e João Pinto è uno dei componenti della squadra che, guidata da Carlos Queiroz, si laurea a Riyad, in Arabia Saudita, Campione del Mondo Under 20.
Successivamente milita anche con la squadra Under 21 dei lusitani, prima di debuttare con la Nazionale maggiore il 16 gennaio 1991 nell'amichevole pareggiata 1-1 contro la Spagna. Ci gioca per ben 11 anni, ma, a causa degli annosi problemi fisici, e dell'eliminazione ad opera dell'Italia di Sacchi nel cammino verso i Mondiali di USA '94, disputa solo una fase finale di un torneo internazionale, Euro '96 in Inghilterra.
Chiude la sua avventura con il Portogallo il 25 maggio 2002 a Macao scendendo in campo da titolare nell'amichevole con la Cina e uscendo al 41', dopo aver totalizzato 51 presenze.

IL RITORNO IN SERIE A CON INTER E PARMA
Nel gennaio 1998, Paulo Sousa fa ritorno in Italia, accettando la corte dell'Inter di Massimo Moratti, che crede in lui e investe 13 miliardi e 200 milioni di Lire per portarlo a Milano.
In nerazzurro coglie un 2° e un 8° posto in campionato, ma non può giocare la Coppa UEFA 1997/98 per quanto imposto dal regolamento UEFA. Il suo rendimento non raggiunge più i picchi di un tempo, mentre i problemi fisici diventano sempre più consistenti.
Sousa colleziona 40 presenze in 2 anni all'Inter, e nel gennaio passa in prestito annuale al Parma, con cui riesce a scendere in campo solo 10 volte e si avvia all'inesorabile e rapido declino.

I GUAI ALLE GINOCCHIA E IL RITIRO
La testa è integra e vorrebbe ancora misurarsi ad alti livelli, ma il fisico di Paulo non glielo consente. Anche le esperienze in Grecia con il Panathinaikos (30 presenze e un goal in un anno e mezzo in terra ellenica) e in Spagna in forza all'Espanyol (9 gare da gennaio a giugno del 2002) non sono entusiasmanti.
Così Sousa dice basta e a soli 31 anni, resosi conto di non poter più essere il grande giocatore che era sempre stato, decide di appendere gli scarpini al chiodo e intraprendere la carriera da allenatore.
"Appendo le scarpe al chiodo disilluso, addolorato e stanco per tutto quello che si è detto di me negli ultimi tempi. - afferma in conferenza stampa - Sono dispiaciuto soprattutto perché non ho potuto rendermi utile alla mia Nazionale nelle ultime due competizioni internazionali, Euro 2000 e Mondiali '02".
Alla Juventus restano legati i ricordi più belli.
"Il primo anno è stato stupendo. - affermerà - Ho mantenuto le premesse e le promesse, confermando il mio valore. Nel secondo anno sono spuntati i problemi, nonostante il successo in Champions League. Abbiamo sbagliato in molti. Io non dovevo dimostrarmi troppo generoso. E c’è chi ha approfittato della mia voglia di rendermi utile. Nessuno mi ha mai obbligato a scendere in campo, ma qualcuno mi ripeteva: 'Per favore Paulo, anche con una gamba sola, vedi se puoi darci una mano'".
PAULO SOUSA ALLENATORE
Da allenatore Sousa non è riuscito finora ad ottenere successi paragonabili a quelli da calciatore. Dopo un periodo di apprendistato di 3 anni con l'Under 16 del Portogallo e come assistente di Carlos Queiroz nella Nazionale maggiore, Sousa si è messo in proprio, iniziando la sua avventura in panchina in Inghilterra.
Guida QPR, Swansea City e Leicester City: la prima e la terza esperienza hanno poca fortuna (si concludono con le dimissioni e l'esonero), mentre con i gallesi ottiene un 7° posto in Championship.
Nel 2011 approda allora in Ungheria con il Videoton, e riesce a ottenere una Coppa di Lega magiara e due Supercoppe d'Ungheria. Nel 2013/14 eccolo in Israele alla guida del Maccabi Tel Aviv, squadra con la quale vince per la prima volta lo Scudetto da tecnico.
Si ripete l'anno seguente in Svizzera con il Basilea, che conduce al titolo nazionale. La Fiorentina gli offre allora l'occasione per allenare in Serie A. Alla guida dei viola resta due stagioni. La prima è molto positiva: la squadra colleziona 6 vittorie consecutive in avvio, stabilendo un record storico del club, e portandosi in vetta alla classifica. Ma nel corso dell'anno subisce un calo e conclude al 5° posto, ottenendo un piazzamento valido per l'Europa League.
È uno dei primi tecnici ad adottare come modulo il 3-4-2-1. Si contraddistingue per le notevoli competenze tattiche e pretende dai suoi giocatori che pratichino un buon calcio. Meno positivo è il 2016/17, anno in cui l'8° posto finale in Serie A non dà ai viola la qualificazione europea.
A fine stagione è sollevato dall'incarico, lasciando spazio a Stefano Pioli. Fa due esperienze in Cina con il Tianjin Quanjian, e in Francia con il Bordeaux, ma entrambe sono poco fortunate: la prima si chiude con l'esonero, la seconda con deludenti piazzamenti in Ligue 1. Nel gennaio 2021 è diventato Ct. della Polonia con cui ha preso parte ad Euro 2020. Quindi sei mesi in Brasile, non troppo fortunati, alla guida del Flamengo con l'esonero arrivato nel giugno 2022, prima di una nuova avventura italiana alla guida della sua attuale squadra: la Salernitana.