"Più forte io o Vierchowod? Vierchowod... Quando non ero in forma, naturalmente!" - Riccardo Ferri, 'Calcio2000'
Assieme a Pietro Vierchowod, Riccardo Ferri è stato a lungo un simbolo della forza degli 'stopper' italiani. Specializzato nel controllo 'a uomo' del centravanti avversario o comunque del giocatore più pericoloso, all'Inter con Beppe Bergomi e il portiere Walter Zenga ha formato un trio storico che ha fatto la storia del club milanese.
Con la maglia nerazzurra ha giocato per 13 stagioni consecutive (17 contando le Giovanili), vincendo la Coppa Italia 1981/82 (senza mai scendere in campo), lo Scudetto dei record nel 1988/89, la Supercoppa Italiana nel 1989 e 2 Coppe UEFA. Nel 1994, assieme a Zenga, è ceduto dal club che è diventato la sua seconda pelle alla Sampdoria. A Genova chiude la sua carriera giocando le ultime due stagioni.
Con la maglia dell'Italia partecipa ad Euro '88 e ai Mondiali di Italia '90, chiusi con il 3° posto finale. Eppure il cantautore di Correggio, Luciano Ligabue, lo ha consegnato all'eternità citandolo in una sua canzone, 'A Che Ora è la fine del Mondo', per un primato negativo: aver battuto il 2 aprile 1994 il record di autogoal in Serie A. Ben 8, come Franco Baresi, ma in meno partite (326 contro 532 del capitano del Milan).
GLI ESORDI E IL PROVINO CON L'INTER
Nato a Crema il 20 agosto 1963, Riccardo Ferri cresce in una famiglia semplice in cui si respira tanto calcio.
"Vengo da una famiglia modesta - racconta a 'Calcio2000' - mio padre faceva l'operaio e mia madre la casalinga, con tre figli da mantenere. Papà amava il calcio, ricordo che negli anni Settanta trasmettevano i secondi tempi delle partite di Serie A sulla Rai e una volta durante la visione di una partita lo sentii sussurrare: 'Pensa che bello se uno dei miei figli riuscisse a diventare calciatore'. Io farò 326 presenze in Serie A, mio fratello Giacomo 264... Niente male mi sembra...".
Da giovane, proprio perché suo padre è juventino, simpatizza anche lui per la Juventus.
"Papà era juventino, e quindi ho assorbito la sua passione per la Juve degli anni Settanta. - spiega - Tardelli, Benetti, Furino... Non avevo un vero e proprio idolo, ma mi piacevano i calciatori che davano tutto in campo".
A trasmetterli la grande passione è il fratello primogenito Giacomo, anche lui avviato alla carriera da calciatore. Riccardo segue il suo esempio e inizia il suo percorso da bambino.
"A 7 anni giocavo in una squadra della mia città che si chiamava Atalantina. - ricorda - Poi sono passato al Crema e in seguito alla Capralbese. Un giorno un signore di Bergamo di nome Pino Bussi mi vide giocare e mi fissò un provino con l'Inter".
Al provino si presentano 500 bambini. Ne prenderanno soltanto due. Quei due faranno la storia dell'Inter: i loro nomi sono infatti Beppe Bergomi e Riccardo Ferri.
"Arrivammo assieme io e lui, lo stesso giorno. - racconterà l'ex stopper in un'intervista con Paolo Di Canio per il programma 'House of Football' di 'Fox Sports' - Lui con dei baffi alti così, a 12 anni e mezzo. A prima vista pensavo che fosse l’autista del pullman, era incredibile come dimostrasse tanti anni in più di quelli che aveva. Presero soltanto me e lui. Così mi trovai al suo fianco: al momento dell’annuncio dei nostri due nomi, lui era gelido, io ho esultato come se avessi fatto goal. Questo fu il nostro primo incontro, ce lo siamo portati avanti per tutta la carriera. Quando andavamo a giocare avevano tutti paura di lui, con questi baffi. Da piccoli lo vedevano e pensavano tutti fosse il genitore".
L'approdo nelle Giovanili nerazzurre segna anche un cambio di ruolo, per Ferri.
"Ho iniziato da ala destra, poi appena sono arrivato all'Inter mi hanno messo mediano per insegnarmi la fase difensiva. - dirà a 'Calcio2000' - Da lì sono arretrato ulteriormente, diventando un difensore. Poi fu il Trap a impostarmi da centrale".
Il percorso nelle Giovanili nerazzurre procede al meglio, quando in Primavera un brutto infortunio lo costringe a star fuori quasi un anno. Il club milanese tuttavia crede in lui, lo aspetta e quando si ristabilisce capisce che presto sarebbe arrivato il grande salto in Prima squadra.
"Giocai un Inter-Triestina Primavera ad Appiano Gentile. - ricorda - Quel giorno, a vedermi, c'era tutta la dirigenza nerazzurra. Uscendo a fine gara vidi negli occhi di Bersellini, Mazzola e Beltrami grande interesse nei miei confronti. Lì mi sono detto: 'Riccardo, stai pronto che ti chiameranno'. E così è stato...".
I PRIMI ANNI IN NERAZZURRO
Mentre suo fratello Giacomo farà strada nel Torino, il debutto in Serie A arriva per Riccardo l'11 ottobre 1981 a 17 anni. Riccardo siede in panchina ma al 77' Eugenio Bersellini decide che è arrivato il momento del giovane lombardo.
"Giocavamo in casa con il Cesena, ero in panchina ed ero seduto in fondo, il mister era dall’altra parte. Quando si sporse per chiamare il cambio di Pasinato, allungai la testa d’istinto, lui mi indicò col dito e mi disse: 'Ferri scaldati!'. Ricordo che ho bruciato l’erba su quella parte esterna del campo dove mi scaldavo, e che mentre entravo in campo, davo la mano a Giancarlo e raggiungevo la parte opposta del campo, mi sembrava di affondare dentro il terreno di gioco. Dentro di me dicevo: 'Pensa a quello che devi fare, non viverla male Riccardo'. A parlarne mi sembra di rivedere ancora quella corsa".
I primi anni Ottanta sono per l'Inter anni di costruzione e di transizione. Ferri si inserisce alla perfezione in un gruppo che è un mix fra grandi campioni d'esperienza e giovani emergenti come lui e dall'età di 20 anni diventa un titolare.
Se in Italia i nerazzurri conquistano soltanto la Coppa Italia 1981/82, battendo nella doppia finale il Torino (torneo in cui Ferri non scende in campo), e per il resto ottengono due terzi posti come migliori risultati (1982/83 e 1984/85) è nelle Coppe europee dove danno il meglio di sé.
L'Inter raggiunge infatti per due volte consecutive le semifinali di Coppa UEFA, nel 1984/85 e nel 1985/86. In entrambi i casi il giustiziere dei nerazzurri si chiama Real Madrid, e il copione è il medesimo: vittoria dei milanesi nell'andata disputata al Meazza, rimonta dei Blancos nel match di ritorno al Bernabeu. Non senza polemiche per arbitraggi molto 'casalinghi' e per una biglia lanciata dagli spalti contro Beppe Bergomi, raccolta da Zenga e consegnata al commissario UEFA ma da quest'ultima poi non considerata sufficiente, in assenza di immagini precise, per assegnare la vittoria a tavolino agli italiani.
"Al Bernabeu contro il Real c'era sempre un'atmosfera surreale. - dichiarerà Riccardo a 'Calcio2000' - La sensazione, per noi squadre ospiti, era di giocare con il campo in salita. Gli arbitri erano parecchio condizionati, il doping era nelle semifinali e finali, insomma... Sembrava che loro avessero più benzina. Senza contare che il ritorno era sempre al Bernabeu".
In panchina a Bersellini succedono Marchesi, Radice, Castagner e per un breve periodo Mario Corso. Fra le partite più difficili, ci sono per Riccardo i derby con suo fratello Giacomo. Quando devono affrontarsi, i due restano senza parlarsi per giorni.
WikipediaL'ARRIVO DI TRAPATTONI E I GRANDI SUCCESSI
La svolta, per Ferri e per l'Inter, arriva con l'arrivo in panchina di Giovanni Trapattoni nel terzo anno dell'era di Ernesto Pellegrini alla presidenza a partire dalla stagione 1986/87. Il difensore lombardo, un metro e 81 centimetri per 77 chilogrammi, dotato di grandi mezzi fisici e di un'ottima elevazione, è impiegato stabilmente come stopper a controllo degli attaccanti avversari, e si afferma fra i migliori nel ruolo in Italia e nel Mondo.
"Del Trap ho un ricordo bellissimo, - dice - come persona e come tecnico. Era un trascinatore in campo e fuori, bravo nel gestire il gruppo e grande istruttore tecnico per i giovani. Si soffermava sui particolari: ricordo l'arrivo di Matthäus e la sua difficoltà nel comunicare con tutti noi. Beh, lui riusciva a farsi capire anche in dialetto milanese".
Dopo anni intermedi, nel 1988/89 il Trap compie il suo capolavoro in nerazzurro: l'Inter vince lo Scudetto con il record di punti per i campionati a 18 squadre (58). Ferri è fra i grandi protagonisti della difesa meno battuta del campionato (19 goal subiti).
"Fu una cavalcata memorabile, - afferma Ferri - per noi e per tutti gli interisti. Mi ricordo un particolare: giocammo in Coppa Italia a Piacenza, contro la Fiorentina, e perdemmo in maniera clamorosa. Dopo la gara il Trap ci riunì e ci disse: 'Siamo sulla strada giusta, quest'anno ci toglieremo grandi soddisfazioni'. Nessuno ci credeva, in quel momento, tranne lui. Un grande!".
I successi per i nerazzurri si susseguono: al Tricolore seguono la Supercoppa italiana 1989 (2-0 ai danni della Sampdoria) e la Coppa UEFA 1990/91, battendo la Roma nella doppia finale tutta italiana (2-0 per l'Inter a Milano, 1-0 per la Roma all'Olimpico). Sogno gli anni migliori della carriera di Ferri.
"Purtroppo in quei tempi c'erano da fronteggiare prima la Juventus di Agnelli, poi il Milan di Berlusconi. - dirà - Non era facile. Ma nonostante non avessimo i mezzi economici di Juve e Milan, siamo riusciti grazie a Pellegrini a toglierci qualche soddisfazione".
Proprio la Juventus, dopo i Mondiali del 1990, si fa avanti e gli fa una proposta importante.
"La Juve mi voleva, - assicura Ferri in un'intervista a 'Tuttosport' - mi offrivano il 30% in più dell’ingaggio dell'Inter. Li ringraziai ma dissi di no. Non sarei mai andato a Torino come non sarei andato mai nel Milan di Sacchi come del resto Baresi e Maldini non sarebbero mai venuti all’Inter. Facevamo parte di quei giocatori che giocavano davvero per la maglia. Si facevano scelte di cuore. Non volevi andare a vincere da un’altra parte, volevi vincere con la tua maglia, i tuoi colori indosso".
FERRI IN AZZURRO E IL 3° POSTO A ITALIA '90
Dopo aver partecipato a due Europei con l'Under 21 nel 1984 e nel 1986, in quest'ultimo caso con 2° posto finale dietro alla Spagna vincitrice, ed aver vinto la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Los Angeles del 1984 con Bearzot Ct., le prestazioni di alto livello nell'Inter fanno guadagnare a Ferri anche la maglia della Nazionale maggiore.
Il debutto, da urlo, arriva il 6 dicembre 1986. L'Italia di Azeglio Vicini, che aveva ereditato la panchina della Nazionale da Enzo Bearzot, dopo aver guidato proprio l'Under 21, superata la Svizzera sfida a La Valletta Malta nel 2° impegno delle Qualificazioni ad Euro '88.
Vicini, davanti a Zenga, sceglie proprio Ferri come stopper davanti al libero, Franco Baresi, con Bergomi marcatore destro e Nela terzino fluidificante a sinistra. Passano appena 11 minuti, e l'esordiente difensore lascia il segno. Punizione dalla destra di Donadoni, Ferri svetta di testa e batte il portiere maltese Bonetto.
Otto minuti dopo Altobelli firma il raddoppio, e nonostante due errori dal dischetto, gli Azzurri ottengono il secondo successo nelle Qualificazioni anche grazie alla prestazione brillante del proprio stopper, promosso a fine gara dalla critica.
Ferri diventa una pedina fondamentale della squadra che con Vicini disputa Euro 88' e Italia '90, quando la Nazionale si ferma in entrambi i casi alle semifinali. Non mancano gli aneddoti. Uno di questi riguarda 'Spillo' Altobelli.
"Durante l'Europeo '88 in Germania eravamo in ritiro con la Nazionale e dopo cena si usciva in giardino. - racconterà Ferri a 'Fox Sports' - Lì c’era un’uscita e un percorso tutto costeggiato da tifosi che speravano in autografi. Decidiamo di fare una di quelle cose che si fanno in ritiro, chiediamo chi tra di noi si sarebbe spogliato nudo per poi correre fino al cancello e tornare indietro. In palio avevamo messo una cifra, era una scommessa. Altobelli alza la mano subito. Così si spoglia, inizia a correre verso il cancello, lo tocca e torna. Nel frattempo i suoi vestiti spariscono. Un po’ sulla siepe, un po’ in giro ovunque. C’eravamo io, Vialli, un po’ quelli più pazzi".
"Mentre si intravedeva la sua figura che stava tornando, tutta la Federazione esce dal palazzo. In primis Materrese con la sua famiglia, proprio in quel momento. Lui arriva tutto orgoglioso della sua corsa, ecco che li incrocia: ricordo la sua faccia e quella di Matarrese e della sua famiglia. 'Ma Spillo!', gli dice Matarrese. 'Ma presidente, sono quelle cose che si fanno in ritiro', replica lui. Avessero potuto l’avrebbero mandato via subito. Ma sono quelle cose che si fanno in ritiro (ride, ndr)".
Nei Mondiali è decisiva la sconfitta ai rigori con l'Argentina. Ferri marca Caniggia, ma proprio il biondo attaccante atalantino, raccogliendo un cross dalla sinistra di Olarticoechea, anticipa Zenga, uscito a vuoto e di testa firma l'1-1 dopo il vantaggio iniziale di Schillaci. La partita si decide ai rigori, dove Goycochea si erge a protagonista e neutralizza i tiri di Donadoni e Serena, dando la finale ai suoi.
"A Walter non ho detto niente, - assicura a 'Il Fatto Quotidiano' - nessuno ha detto niente. Quando sei un professionista e giochi in una squadra ci sono due elementi fondamentali: appartenenza e condivisione. Il calcio è fatto di episodi, non ha senso indicare un compagno per una sconfitta. Se così fosse avremmo dovuto prendercela con Serena e Donadoni che hanno sbagliato ai rigori. Invece il primo istinto di tutti è stato andare ad abbracciare Walter".
Quando Sacchi subentra a Vicini alla guida della Nazionale, il ruolo da titolare di Ferri è messo in discussione. Il 6 giugno 1992 il roccioso difensore colleziona la sua ultima presenza in Azzurro nel match con gli Stati Uniti pareggiato 1-1 a Chicago. La sua esperienza in Nazionale si ferma così a 45 presenze e 4 goal.
IL DOLOROSO ADDIO E LA CESSIONE ALLA SAMPDORIA
A partire dal 1991/92, la situazione per Ferri e per l'Inter cambia radicalmente. La rivoluzione di Orrico si rivela fallimentare, la squadra risale la china con l'arrivo di Bagnoli.
"Orrico cercò di portare il doppio WM all'Inter, ma il primo errore fu di non tenere conto che il gruppo veniva da cinque anni di Trapattoni. - sottolinea Ferri a 'Calcio2000' - Da subito si dimostrò una persona priva di rispetto nei confronti di tutti, giocatori e collaboratori compresi. Bagnoli invece era una grande persona e un gran lavoratore. Un uomo che non si ferma davanti alle difficoltà".
L'Inter torna al 2° posto in campionato dietro al Milan di Capello, poi però arriva la stagione 1993/94, in cui i nerazzurri si salvano a fatica nell'ultima giornata. Ferri accusa problemi fisici e il suo rendimento non è brillante. Spesso viene messo in discussione e come centrale gli viene preferito Antonio Paganin.
A inizio marzo, contro la Fiorentina, riporta un grave infortunio: una lesione al muscolo semimembranoso e al bicipite femorale della gamba sinistra. Il campionato è di fatto per lui finito, ma riesce a recuperare in tempo per la finale di Coppa UEFA. In quella di ritorno, l'11 maggio, l'Inter affronta il Salisburgo a San Siro dopo aver vinto 1-0 in Austria con rete di Berti.
Marini pensa di far giocare Ferri titolare, ma è il difensore, con un atto d'amore verso la squadra, a consigliargli di non farlo.
"Alla vigilia mi disse che voleva farmi giocare titolare. - rivela in un'intervista ad 'InterTV' - Io gli dissi che oltre a volere bene a lui, volevo bene all'Inter e in quel momento non ero un giocatore che potesse dare un apporto alla squadra quanto piuttosto essere un problema. Quindi gli dissi di far giocare un altro perché noi dovevamo vincere quella Coppa. Lui mi ha abbracciato e mi ha detto: 'Non è comune che un giocatore prima di una finale dica una cosa del genere. Questo mi riempie di gioia'. Gli parlai in cucina, perché era l'unico posto nel quale non c'era nessuno".
Marini sceglie allora di far giocare titolare ancora Paganin, con Ferri che fa la sua ultima presenza con l'Inter subentrando al 67' al posto di Fontolan. I nerazzurri vincono nuovamente 1-0 con rete di Jonk e sollevano il trofeo. Ma per Riccardo e Zenga quel trionfo europeo ha un sapore molto amaro: a fine anno la società decide di ammainare le due bandiere storiche ed entrambi si trovano a dover fare le valigie, direzione Genova.
"Fu una brutta stagione, - ammette l'ex difensore - l'addio per me fu molto triste, anche se con l'arrivo in panchina di Giampiero Marini, mio grande amico e persona che stimo moltissimo, vincemmo la Coppa UEFA, la seconda della mia avventura con l'Inter".
"Il mister mi fece entrare, e mi ricordo che alla fine della partita piansi al momento della foto. Si concluse lì la mia storia all'Inter, lunga 13 anni. In quel frangente ho avuto la percezione di essere arrivato al capolinea, di togliere quella maglia e di dovermi allontanare. È un momento triste, vivendolo ora mi rendo conto che doveva arrivare, magari non in quelle condizioni".
"Ho smesso fisicamente ma non di testa, ma dovevo far fronte a un infortunio grave che mi aveva condizionato molto. Questa è stata la mia ultima immagine all'Inter, guardarmi intorno e entrare nel sottopassaggio. Non sono riuscito neanche a gioire per quella vittoria che è stata anche troppo poco festeggiata".
Ferri, che in più di un'occasione ha indossato anche la fascia da capitano, saluta la squadra della sua vita con 463 presenze complessive e 9 goal. Gli ultimi due anni di carriera gli spende con la Sampdoria, dell'amico Roberto Mancini.
"Andai alla Sampdoria perché mi chiamò Roberto. - rivela a 'Calcio2000' - Poi lì conoscevo molte persone. Per me sono stati due anni favolosi: tifosi, società, compagni di squadra. E a Genova è nato anche il mio secondo figlio".
Nel 1996, collezionate 46 presenze in blucerchiato, a 32 anni lascia il calcio giocato. Con un record tutto particolare per il quale viene spesso ricordato: quello delle autoreti in Serie A, 8 come quelle di Franco Baresi ma in meno presenze. Prodezze al contrario, alcune anche spettacolari e in partite importanti, come il Derby di Milano e il Derby d'Italia con la Juventus, che spesso hanno lasciato di sasso il suo amico Zenga.
“La Borsa sale, i maroni no. Ferri batte il record di autogoal”, recita il celebre verso di 'A che ora è la fine del Mondo', del cantautore interista Luciano Ligabue.
“Nella vita si fanno cose belle e altre meno belle - commenta l'ex difensore dell'Inter - e mi dà fastidio che della mia carriera si metta in risalto solo la parte negativa. Ho giocato 15 anni in A segnando 6 reti, ho collezionato 45 presenze e 4 goal in Nazionale, eppure si sottolineano sempre le mie autoreti. In fondo, si trattava di episodi e tanti altri campioni hanno segnato nella porta sbagliata… Però quella nel derby '87-'88, in cui giocai molto bene, mi è pesata più delle altre. È chiaro: le gare contro il Milan erano sempre importanti. Ricordo benissimo: cross di Evani da sinistra con la palla che finisce tra Gullit e un altro giocatore, l’appoggio morbido a Zenga che esce dai pali senza 'chiamare palla' e che tenta il recupero quando la sfera ha ormai oltrepassato la linea di porta…".
"A volte ero un pò ingenuo e impulsivo, arrivavo sulla palla scoordinato, guidato dalla frenesia o dalla velocità dell’attaccante. Dopo un autogoal mi sentivo un po' solo, anche se i miei compagni sdrammatizzavano, sapendo che il primo a capire l’errore è proprio l’interessato. Ma tutti sbagliano, anche chi pensa di essere infallibile. Io ero uno di quando si giocava per una maglia sola, e con il cuore. Vorrei che ci si ricordasse di me per un altro record che forse detengo e di cui nessuno parla. Al debutto in azzurro contro Malta, per le qualificazioni all’Europeo dell’88, segnai subito un goal".
IL POST CARRIERA
Dopo il ritiro dal calcio giocato, Ferri allena fino al 1998 nelle Giovanili nerazzurre. Ma alcuni dissidi con Massimo Moratti lo portano a lasciare la società. Nel 2014 apre a Miami un'Inter Academy per ragazzi dai 5 ai 17 anni, esperienza condivisa col figlio Marco che dura tre anni. Successivamente è diventato un apprezzato opinionista per Mediaset e 7 Gold. Nel 2017 ha ricoperto anche il ruolo di Responsabile dell'area tecnica del Vicenza.
Nella vita privata, dall'ex moglie Viviana Tirelli ha avuto due figli, Marco e Andrea. Il primo è un modello diventato famoso per aver partecipato a Uomini e Donne nel 2008-09 e all'Isola dei Famosi 2018. Ha inoltre una figlia adottiva, Stefania, di origini singalesi, che è entrata a far parte della famiglia quando aveva due anni. Oggi Riccardo è legato sentimentalmente a Giada Manfredini.
Calcisticamente il suo amore è ancora tutto per l'Inter. Dal 25 luglio scorso, Ferri è tornato a ricoprire un ruolo nella società nerazzurra: oggi è il Club Manager della Prima Squadra.
"I miei figli sanno che quando morirò voglio con me la divisa nerazzurra, perché voglio vestirla anche in una seconda vita. Chiaramente il più tardi possibile".