Di suola, preferibilmente, ma anche accarezzando la palla con l'interno del piede, d'esterno e persino di tacco. Una cosa è certa e inconfutabile: Robert Prosinecki amava dribblare. Spesso in spazi strettissimi. Eppure quasi sempre le sue giocate andavano in porto. Più che muoversi, in campo danzava. Tanto che si può dire che il dribbling rappresentasse la sublimazione del suo gioco e che se quella di dribblare è da considerare come un arte, lui ne è stato a ragione il massimo rappresentante nella vecchia Europa.
Quei dribbling, che lui eseguiva in ogni zona del campo, mandavano spesso in tilt i suoi avversari e in fibrillazione gli allenatori e i tifosi, con giocate splendide quanto talvolta temerarie e persino spregiudicate. La palla restava incollata ai suoi piedi, quasi come ne fosse una naturale appendice, tanto da far dire ai tifosi del Portsmouth, squadra inglese con cui giocherà a fine carriera:
"Tutte le volte che Prosinecki tocca la palla, la palla ha un orgasmo".
Ma Prosinecki era molto altro: un giocatore completo, in grado di costruire gioco, fornire assist per i compagni e segnare lui stesso con assoli personali o sfruttando i calci piazzati, specialità in cui eccelleva, ma anche di farsi valere in fase di non possesso, grazie al fisico statuario e alla sua abilità nel vincere i contrasti. Capelli biondi, orecchino sempre in bella evidenza, meglio se di grosse dimensioni, carattere fumantino e faccia da bullo di periferia, pur non essendo velocissimo, sapeva imprimere cambi di ritmo brucianti quando entrava in possesso palla.
Oltre ad essere stato un grande calciatore, detiene un record difficilmente battibile: è infatti l'unico ad aver segnato ai Mondiali con due Nazionali diverse: con la Jugoslavia a Italia '90 e con la Croazia a Francia '98. Vero poliglotta, parla almeno 5 lingue: il serbo e il croato, il tedesco, lo spagnolo e l'inglese. La sua storia è così particolare e suggestiva da sembrare la scenografia di un film di Kusturica.
DALLA GERMANIA A BELGRADO
A differenza degli altri protagonisti della generazione d'oro del calcio croato, Robert Prosinecki non è nato in Jugoslavia, bensì in Germania, a Villingen-Schwenningen, nei pressi della Foresta Nera, nel Distretto di Friburgo, il 12 gennaio 1969.
"La sua storia è particolare. Suo papà, Duro, è croato, mentre sua mamma, Emilija Djoković, è serba. - racconta a Goal l'autore Danilo Crepaldi, profondo conoscitore del calcio jugoslavo prima e dopo la fine della Repubblica socialista - I suoi genitori si erano trasferiti in Germania per motivi di lavoro. Erano dei Gastarbajteri, come venivano definiti da quelle parti gli immigrati jugoslavi".
"Robert - prosegue - inizia a giocare da bambino con squadre dilettantistiche tedesche e il padre si accorge che è dotato di grande talento. Così, avendo dei contatti, lo porta alla Dinamo Zagabria, e qui succede la prima cosa strana".
È il 1986/87, Robert ha 17 anni, è nel Settore Giovanile da quando ne aveva 10 e debutta nella Prva Liga, in cui colleziona 2 presenze e un goal. Ma nonostante la classe cristallina, per lui nella formazione croata sembra non esserci futuro.
Il ragazzo manifesta infatti intolleranza per le regole ferree, e non si preclude i vizi: fuma e beve alcolici, pur senza esagerare, con un comportamento che non si confà ad un atleta professionista.
"Già a 12 anni - rivelerà il suo amico Zvonimir Boban - Robert fumava 3 pacchetti di sigarette al giorno".
L'allenatore della Prima squadra della Dinamo in quel momento è Miroslav Blazevic, detto 'Ciro', colui che diventerà l'allenatore degli allenatori in Croazia. Quando papà Duro si presenta da lui per chiedere che a suo figlio sia fatto firmare un contratto da professionista, lo boccia in maniera categorica.
"Blazevic - ricorda Crepaldi - vede Prosinecki e sentenzia che lui il calciatore non lo farà mai: 'Se questo qui diventerà mai un giocatore professionista io mi mangerò il mio diploma da allenatore', aveva detto a papà Duro. Che così inizia a parlare con altre squadre jugoslave e ottiene un provino con la Stella Rossa".
Ad esaminare Prosinecki a Belgrado è la leggenda del calcio jugoslavo Dragan Džajić, in quel momento Direttore generale dei biancorossi. Che lo vede, ne resta incantato e decide di ingaggiare il ragazzo.
"Prosinecki aveva quest’aria quasi disinteressata di chi si trova lì per caso, ma che una volta in campo diventa un altro. - racconterà di quel primo incontro - Dopo averlo visto all’opera, ho trovato l’accordo con suo padre in cinque minuti".
I GRANDI SUCCESSI CON JUGOSLAVIA E STELLA ROSSA
Prosinecki inizia la trafila nella Stella Rossa e intanto, nell'ottobre del 1987 partecipata con la Jugoslavia ai Mondiali Under 20 in Cile. Nonostante ci sia poca fiducia attorno ai giovani plavi, ed elementi importanti come Mihajlovic, Jugovic e Boksic siano trattenuti in patria dalla stessa Federazione, la squadra, composta da elementi provenienti da tutte le repubbliche federali, è ricca di talenti: a centrocampo, oltre a Prosinecki, c'è Zvonimir Boban, a sinistra gioca Jarni, in attacco Mijatovic e Suker.
La Jugoslavia di Mirko Jozic supera il suo girone da prima e a punteggio pieno, battendo Cile, Australia e Togo, e Prosinecki gioca ad alti livelli. Ma il meglio il diciottenne lo dà nei quarti di finale contro il Brasile e in semifinale con la Germania Est. La gara con i verdeoro, nelle cui fila giocano fra gli altri Cesar Sampaio e André Cruz, il 22 ottobre 1997 lo consegna alla leggenda.
Prosinecki è scatenato, il più brasiliano dei brasiliani in campo, e si rivela prezioso nella manovra offensiva ma anche nel recuperare palloni e rilanciare l'azione dei suoi. A tratti, con un atteggiamento 'alla Sivori', quasi sfida i brasiliani a provare a portargli via la sfera dai suoi piedi. A un certo punto recupera palla spalle alla porta vicino alla propria area, e con un dribblig, molto rischioso ma di una bellezza accecante, salta tre avversari in un fazzoletto e trasforma la manovra da difensiva a offensiva.
Allo scadere del primo tempo però la Seleçao è avanti 1-0, con un goal di Alcindo nei minuti finali. Ma Jozic rivolta la squadra negli spogliatoi, e inserisce Mijucic per Pavlovic. La Jugoslavia torna in campo con un altro spirito e si vede. Al 52' Mijatovic pareggia, e allo scadere, all'89', è proprio Zuti, 'Il biondo', come viene chiamato da tutti, a prendersi il proscenio. C'è una punizione da calciare poco oltre la lunetta, con il punto di battuta leggermente spostato a destra.
Prosinecki non si fa pregare e dopo un solo passo di rincorsa con un destro micidiale manda il pallone ad insaccarsi all'incrocio dei pali sulla sinistra, gettando nello sconforto la Seleçao e in estasi tutta la Jugoslavia, dove, dopo aver appreso dei primi successi, la partita era trasmessa in diretta televisiva.
Il centrocampista della Stella Rossa si ripete con un'altra grande prova contro la D.D.R. di Matthias Sammer in semifinale, gara molto dura in cui i plavi si impongono 2-1 grazie al vantaggio iniziale targato Stimac e alla rete decisiva di Suker nel secondo tempo, dopo che proprio il futuro interista aveva pareggiato i conti nella prima frazione, riportando la situazione in equilibrio.
Nella bagarre, tuttavia, Mijatovic si fa espellere per doppia ammonizione, ma ha di che arrabbiarsi con se stesso anche Prosinecki, che beccandosi al 90' il secondo giallo di fila dopo quello della gara con il Brasile, è costretto a saltare la finale. Una vera e propria beffa per quello che era stato fino a quel momento il trascinatore della Jugoslavia.
Con le assenze pesanti di due delle pedine più importanti della Jugoslavia, il 25 ottobre 1987 tutti i pronostici vedono la Germania Ovest grande favorita. Invece Boban si carica sulle sue spalle la squadra, segna il provvisorio 1-0 con un gran tiro al volo e nonostante un rigore trasformato da Witeczek, l'1-1 porta le due squadre ai supplementari. Il risultato non cambia più e sono decisivi i calci di rigore.
Se, proprio l'attaccante di origine polacca, laureatosi Scarpa d'oro del torneo con 7 reti, fallisce la trasformazione dagli 11 metri, i plavi sonon infallibili e quando il solito Boban trasforma con freddezza l'ultimo penalty, un intero Paese può far festa. Per la prima e unica volta della sua storia la Jugoslavia aveva vinto i Mondiali di calcio, seppur giovanili. E Prosinecki, costretto a osservare i compagni in quella partita, si sarebbe consolato con il Pallone d'Oro, assegnatoli come Miglior giocatore del torneo.
Nel 1990 la Jugoslavia prova a ripetersi agli Europei Under 21. I plavi incrociano in semifinale sul loro cammino l'Italia di Cesare Maldini, che schiera Peruzzi in porta e ha in rosa giocatori come Billy Costacurta in difesa, Stroppa e Fuser a centrocampo, Simone, Casiraghi e Lentini (come rincalzo) in attacco.
La Jugoslavia è però troppo forte. Dopo il pareggio per 0-0 nella gara di andata a Zagabria, il 9 maggio del 1990 nella partita di ritorno che si gioca al Tardini di Parma, i protagonisti sono gli stessi che tre anni prima avevano eliminato il Brasile. Apre le marcature Prosinecki, che con le sue giocate fa letteralmente venire il mal di testa al suo marcatore, il mediano della Roma Giovanni Piacentini, e chiude, dopo la reazione degli Azzurrini, a segno due volte, un goal di Boban, che fissa il punteggio sul 2-2.
Grazie alla regola delle reti in trasferta i plavi sono nuovamente in finale, ma stavolta a vincere è l'U.R.S.S., che si impone sia in Jugoslavia (2-4), sia in casa (3-1) e conquista il titolo europeo Under 21. Per Prosinecki il 1990 è comunque un anno magico, che culmina con la nomina di 'Giocatore jugoslavo dell'anno'. Con la Nazionale maggiore, con cui debutta nel 1989, partecipa ai Mondiali di Italia '90 a 21 anni e segna anche un goal contro gli Emirati Arabi.
Anche se la squadra del Ct. Ivica Osim, priva di Boban, squalificato per i fatti del Maksimir, dopo aver superato il girone ed eliminato la Spagna agli ottavi, esce ai quarti di finale, dove è estromessa ai calci di rigore dall'Argentina di Diego Maradona, per Prosinecki, premiato come Miglior giovane dei Mondiali, ci sono comunque motivi per cui essere soddisfatti.
Nella Stella Rossa le cose per Prosinecki, che cresce nell'ombra di Piksi Stojkovic, e apprende dagli altri campioni vanno più che bene. Parte come riserva, per poi ritagliarsi sempre più spazio e diventare uno dei pilastri della squadra. Nel 1988, nella celebre gara di ritorno contro il Milan al Marakána di Belgrado, entrato in campo nel quarto d'ora finale, scherza il suo dirimpettaio, il povero Colombo, con il suo repertorio di dribbling e finte. Quell'anno è allenato da Branko Stankovic, che di lui affermerà:
"Per la sua fisicità ed esuberanza, Prosinecki potrebbe fare anche il marcatore e giocare in qualunque parte del campo. Ma toglierlo da là davanti sarebbe come togliere le pennellate di Van Gogh da un suo quadro".
La stagione 1989/90 è quella dell'ingresso di Prosinecki in pianta stabile nell'undici titolare della Stella Rossa, con Dragoslav Secularac al timone. Il nuovo tecnico gli affida la maglia numero 7, e lo schiera in un centrocampo stellare con Jugovic, Savicevic e Stojkovic, che sforna palle goal per il centravanti Darko Pancev. Quando Stojkovic è ceduto all'Olympique Marsiglia nell'estate del 1990, 'Zuti' diventa con Savicevic l'idolo assoluto dei Delije, 'Gli eroi', ovvero gli ultras serbi guidati all'epoca da colui che sarà poi noto come la Tigre Arkan.
Affina la sua tecnica sulle punizioni, e spesso dà vita a delle vere e proprie sfide con Mihajlovic, Jugovic e gli altri specialisti: in palio, per chi vince, ci sono sempre le birre, soprattutto la Karlovacko, la sua preferita. In 4 stagioni con la maglia biancorossa conquista 3 Campionati jugoslavi, una Coppa di Jugoslavia e, soprattutto, la Coppa dei Campioni 1990/91.
"Nella cavalcata fino alla finale di Bari, - sottolinea Crepaldi - è decisivo sia contro la Dinamo Dresda che contro i Rangers di Glasgow".
Robert contribuisce al trionfo con 9 presenze e 4 goal: 2 gli segna su rigore al Grasshopper, uno nell'andata degli ottavi contro i Rangers, uno, spettacolare, su calcio di punizione, nell'andata dei quarti di finale con la Dinamo Dresda, rete dopo la quale si lancia in una corsa pazza dall'altra parte del campo sotto la curva dei Delije.
In semifinale lo Zvezda compie l'impresa più grande eliminando il Bayern Monaco (2-1 in Baviera e rocambolesco 2-2 a Belgrado). Confronto in cui Prosinecki dà vita a un duello fisico e verbale con il suo dirimpettaio Stefan Effenberg, che il croato avrebbe ribattezzato per l'occasione 'Kinder Milk', 'Latte Kinder' per il suo essere alto e biondo. A Bari, infine, nell'ultimo atto contro l'Olympique Marsiglia, gara tattica nella quale Prosinecki non riesce a incidere particolarmente, tempi regolamentari e supplementari si chiudono sullo 0-0 e si decide tutto ai rigori.
Prosinecki trasforma il suo, come aveva fatto a Italia '90 in Nazionale con l'Argentina, mentre l'errore di Amoros condanna i francesi. Per la prima e ultima volta una squadra jugoslava si laurea campione d'Europa. Per tutti diventa 'Il re dei Balcani' e l'UEFA lo premia come Miglior centrocampista del torneo.
Getty ImagesPROSINECKI IN SPAGNA: PIÙ OMBRE CHE LUCI
Viste le qualità tecniche sconfinate di cui madre natura gli aveva fatto dono, Prosinecki avrebbe potuto a lungo dominare nel suo ruolo. Invece dopo aver vinto i Mondiali Under 20 con la Jugoslavia e la Champions League 1990/91 con la Stella Rossa, ha un passaggio a vuoto di alcune stagioni, che lo vedono deludere le grandi attese riposte in lui in Spagna.
Il Real Madrid del suo mentore Radomir Antic lo acquista per 8 milioni di euro attuali nel 1991, e così la stella croata lascia la Jugoslavia, che di lì a poco, passando per sanguinose guerre, si sarebbe scissa in più Stati nazionali, per sbarcare nella Liga spagnola. Il suo trasferimento a 22 anni fa epoca, abbattendo il muro d'età che fino ad allora impediva ai giovani calciatori jugoslavi di andare a giocare all'estero.
Con i Blancos vive 3 stagioni di alti e bassi. Il primo anno, è totalmente deludente. Colui che aveva illuminato con le sue giocate l'ultima Coppa dei Campioni, è afflitto da una serie incredibile di problemi muscolari e totalizza appena 5 presenze e 2 goal. L'esclusione della Jugoslavia da Euro '92, in cui avrebbe potuto vincere, e le guerre balcaniche lo rattristano.
Va leggermente meglio nel 1992/93, quando con Benito Floro in panchina trova maggior continuità con 36 presenze complessive e 4 reti e la soddisfazione di un dribbling a Maradona nel confronto del Bernabeu contro il Siviglia. L'unica stagione sufficiente è tuttavia la terza e ultima che lo vede protagonista al Bernabeu, quando con il saggio Vicente Del Bosque totalizza 30 partite e 6 goal.
"Non si può discutere il fatto che Robert sia un individualista e che sia innamorato del pallone. - dirà il tecnico spagnolo del croato - Spesso riceveva parecchi fischi per la sua mania di tenere a lungo il pallone tra i piedi… Ma il più delle volte vi posso garantire che lo faceva perché non c’erano soluzioni migliori!”.
Riesce comunque ad aggiungere al suo palmarès una Coppa (1992/93) e una Supercoppa di Spagna (1993). Come accade sempre quando le cose non vanno bene, la critica cerca un motivo per spiegare il flop del giocatore, e lo individua nello stile di vita non consono ad un atleta: gli piace la bella vita, fuma ancora un pacchetto di Marlboro rosse al giorno e non rinuncia a bere qualche birretta e gli amati spritzer (cocktail composto da vino bianco, bitter e acqua minerale).
Fatto sta che nel 1994 a Madrid è considerato dai più un giocatore sul viale del tramonto a soli 25 anni. Così lo lasciano libero di accasarsi all'Oviedo, club nel quale intanto è approdato Antic, che ha ancora grande stima nei suoi confronti e ha il merito di rigenerarlo. Prosinecki, forse colpito nell'orgoglio, supera i problemi fisici e torna a disputare una stagione di alto livello: 30 presenze e 5 goal per lui con la formazione asturiana, e giocate degne della sua fama.
Johan Cruijff, che ha sempre avuto un debole per i giocatori di talento, lo vuole con sé al Barcellona e i blaugrana, dopo un duello di calciomercato con l'Atletico Madrid, se lo aggiudicano per 3 milioni di euro. In Catalogna tornano tuttavia i problemi fisici. Il tecnico olandese lo aspetta ma il rapporto non decollerà mai completamente e quando il croato torna a disposizione le gerarchie in squadra sono ormai definite.
Dopo sole 26 presenze e 2 goal, la soddisfazione di aver giocato assieme a Ronaldo e una seconda Supercoppa di Spagna in bacheca, passa l'anno seguente al Siviglia, salutando con 20 presenze e 4 reti il calcio spagnolo.
GettyIL RISCATTO IN PATRIA E I MONDIALI '98
In tanti pensano a un precoce ritiro a 28 anni, invece, tornato nella Croazia indipendente per giocare con la Dinamo Zagabria, divenuta nel frattempo 'Croazia Zagabria', Prosinecki ritrova la fiducia dell'ambiente e torna il giocatore di qualche anno prima, tanto da costringere Miroslav Blazevic, l'allenatore che lo aveva bocciato da ragazzo, a chiamarlo nella neonata Nazionale croata per giocare i Mondiali di Francia '98, chiusi dai vatreni con uno storico 3° posto.
Prosinecki gioca da titolare le tre partite del Girone, ed entra nella storia quando dopo l'immancabile dribbling di suola, con una parabola beffarda dalla sinistra supera il portiere della Giamaica sul secondo palo. Diventa infatti l'unico ad aver segnato in due Mondiali con 2 Nazionali diverse. Poi riaffiorano i problemi fisici, che portano Blazevic a tenerlo in panchina per tutte le gare della fase a eliminazione diretta. Il biondo croato, che ora non ha più una folta chioma ma porta i capelli corti, un vistoso orecchino e diversi tatuaggi, viene rimandato in campo soltanto all'89' della sfida di semifinale contro la Francia, a gara ormai compromessa.
La Croazia è eliminata e il rapporto fra giocatore e Ct. torna ad incrinarsi, non senza rimpianti da parte di quest'ultimo, soprattutto dopo che l'ex Stella Rossa decide la finale per il 3° posto segnando un gran goal contro l'Olanda.
"Blazevic ha i suoi difetti e i suoi pregi, come tutti. Per qualche ragione, ha sempre avuto problemi con me. - commenterà il centrocampista - Penso che se avessi giocato almeno mezz’ora contro la Francia sarei riuscito a cambiare le sorti del match. Non sono arrabbiato con Blazevic, ma penso che abbia fatto un errore".
"Mi sono pentito per primo di quella scelta", ammetterà anni dopo lo stesso Commissario tecnico.
Prosinecki lascia la Nazionale per due anni, salvo tornarci nel 2000, quando la squadra manca la qualificazione agli Europei. Nel 2002 gioca i suoi terzi e ultimi Mondiali, ma la prestazione deludente contro il Messico nella fase a gironi sarà anche l'ultima per lui con la Croazia, che con il biondo in panchina esce nella Prima fase.
A livello di club il rendimento elevato con la Dinamo ( vince 3 Campionati di fila, una Coppa nazionale e una Supercoppa ) gli permette di disputare per due anni di fila anche la Champions League e di togliersi belle soddisfazioni, come contro il Celtic, il Porto e il Manchester United, cui i croati strappano un pareggio ad Old Trafford.
depophotosGLI ULTIMI ANNI E LA CARRIERA DA ALLENATORE
Gli ultimi anni lo vedono girare l'Europa dopo una breve parentesi al Hrvatski Dragovoljac . Gioca in Belgio con lo Standard Liegi, quindi fa un'unica ma significativa stagione in Inghilterra al Portsmouth, club di proprietà del magnare di origine serba Milan Mandaric. Con i Pompey gioca una grande stagione, quello che sarà il suo canto del cigno. Segna 9 goal in 33 gare con una squadra che lotta per non retrocedere e delizia i tifosi con le sue giocate.
Diventa presto l'idolo di Fratton Park, tanto che ancora oggi i tifosi del Portsmouth per zittire qualcuno dicono:
"Ma che cazzo dici? Tu mica l'hai visto giocare Prosinecki?".
Il nome di Robert (unico giocatore straniero) compare nella top 11 di sempre del club inglese. Ha modo anche di scendere in campo con un giovane Peter Crouch, che nella sua autobiografia 'I robot: How to be a footballer' svela diversi aneddoti sul croato.
"Fumava prima della partita, - scrive dell'ex compagno di squadra - nell’intervallo scappava nelle docce per fumare e lo faceva anche subito dopo la gara. Fumava Marlboro rosse. Vera roba pesante. Comunque quell’anno al Portsmouth ho segnato 19 goal e lui mi ha servito ogni singolo pallone su un piatto d’oro".
Gli ultimi scampoli di carriera Prosinecki gli spende con con Olimpia Lubiana (vincendo anche una Coppa di Slovenia), NK Zagabria e Savski Marof, squadra croata con cui si ritirerà a 36 anni. Per poi dire di se stesso:
"Se non fosse stato per lo spritzer, sarei stato il più grande calciatore del mondo. So che fumare non è l'ideale per un atleta, ma mi rilassa. È l’unico vizio che ho... E poi, nessuno o quasi vive cento anni".
Appesi gli scarpini al chiodo intraprende la carriera da allenatore, senza esser riuscito finora a ottenere risultati degni della sua fama. Guida Stella Rossa (primo croato dopo la fine della Jugoslavia), poi due volte il Kayserispor in Turchia e le Nazionali dell' Azerbaijan e della Bosnia. Nella passata stagione è tornato in Turchia, paese dove ha allenato il Denizlispor. Cinque punti in otto partite, oltre all'eliminazione in Coppa di Turchia. È durata tre mesi l'avventura sulla panchina del club anatolico, prima dell'esonero. Nel 2022 ha allenato l'Olimpia Lubiana, fino a luglio. Ora attende una nuova chiamata. Appesantito nel fisico dall'età e dai soliti vizi, che non ha mai abbandonato e non gli hanno impedito, da calciatore, di scrivere pagine leggendarie della storia del calcio.